Un'immagine può essere apprezzata per le sue qualità puramente estetiche ("mi piace"), ma in essa esistono anche significati che possono non essere immediatamente colti, soprattutto in un mondo pieno di immagini come quello in cui viviamo. E' quindi necessario prendersi il tempo per entrare nell'immagine (in questo blog in particolare, ma non solo, cinematografica) alla ricerca di questi significati.
venerdì 16 dicembre 2022
"Saint Omer”, Alice Diop (2022)
venerdì 11 novembre 2022
“Triangle of Sadness”, Ruben Östlund (2022)
Dopo un silenzio di 5 anni, Östlund ritorna (trionfalmente, vista la Palma d’Oro ottenuta a Cannes quest’anno) nelle sale cinematografiche con un’altra opera dedicata alla critica sociale in modalità Castigat ridendo mores, dopo “The Square” (2017) e “Forza maggiore” (2014, quest’ultimo peraltro più centrato sulla responsabilità individuale).
Una lussuosissima nave da crociera ospita un gruppo di super-ricchi per una vacanza fra mille agi. Tutto procede bene (eccetto il comportamento bizzarro del capitano Thomas, un Woody Harrelson perfetto per la parte), finché una tempesta e l’aggressione da parte di una barca di pirati causa il naufragio della nave, dal quale si salvano su un'isoletta 5 ospiti e 3 membri dell’equipaggio.
Le tematiche del film sono la diseguaglianza e la brama di potere, nonché una presa di giro di alcuni cliché del mondo moderno, del quale in “The Square” l’obiettivo era il mondo dell’arte, in questo caso il mondo della moda. Non manca inoltre una critica del modo in cui si creano le grandi ricchezze, in accordo con l’aforisma di Balzac “Dietro ogni grande fortuna c’è un crimine”. Fin dall’inizio, dopo la spassosissima scena della selezione dei modelli, la diseguaglianza emerge quando due spettatori della sfilata di moda vengono con fermezza fatti alzare dal posto in prima fila ed accomodare nelle retrovie per far posto a dei VIP, il tutto mentre sullo schermo che fa da sfondo alla passerella brilla ipocritamente la scritta We are equal (siamo uguali). Viene in mente a questo proposito il testo di “Cara Maestra”, una canzone del 1962 in cui Luigi Tenco denunciava, con grande anticipo sui tempi, proprio la diseguaglianza vigente in una società che affermava a gran voce di volere l'uguaglianza dei suoi membri. Il potere è nella prima parte del film appalto esclusivo dei ricchi, ai quali è concessa la soddisfazione di qualsiasi richiesta, anche la più assurda, come farsi recapitare con un elicottero qualche vasetto di Nutella; dopo il naufragio lo scettro del potere passa nelle mani dei subordinati, in particolare di Abigail (Dolly De Leon), in precedenza addetta alla pulizia delle toilette, che, essendo l’unica capace di pescare, accendere un fuoco e cucinare, detiene un potere assoluto, arrivando ad esercitare una sorta di jus primae noctis sul giovane Carl (Harris Dickinson), con comprensibile nervosismo della fidanzata Yaya (Charlbi Dean) la quale d’altro canto, quando Carl è tenuto a digiuno per punizione da Abigail, non si sogna nemmeno di cedergli un po’ della sua porzione di cibo. Insomma, egoismo feroce su tutta la linea, salvo mettersi tutti a piangere quando devono uccidere un asino per procurarsi da mangiare. La lotta di classe secondo Österlund è quindi destinata a ridursi ad un passaggio di potere, non ad una sua equa distribuzione e la storia degli ultimi cento anni sembra dargli ragione. E questa smania di potere, ci dice il finale (un po’ criptico), può indurre a considerare anche l’omicidio. In tutta questa storia due personaggi spiccano fra gli altri, il capitano Thomas, che si definisce marxista, ma ammette di tradire la sua ideologia per sbarcare il lunario e manifesta questa contraddittorietà con un comportamento non proprio in linea con il suo ruolo, facilitato da un discreto abuso alcolico, ed una signora (Iris Berben), curiosamente afasica ed emiplegica a destra nella prima metà del film ed a sinistra nella seconda (sic), che, imperturbabile durante tutto il film e scampata anch’essa al naufragio, si limita ad esclamare a tratti In den Wolken (nelle nuvole). Se queste parole hanno un senso non è facile comprenderlo: potrebbe forse essere riferito al modo di vivere delle fasce privilegiate della società, vale a dire, ampliando la frase, mit dem Kopf in den Wolken cioè con la testa nelle le nuvole, quindi distanti anni-luce dalla realtà?
venerdì 28 ottobre 2022
“Brado”, Kim Rossi Stuart (2022)
venerdì 14 ottobre 2022
"Siccità", Paolo Virzì (2022)
“Angosciante”, questo è l’aggettivo che mi è venuto alla mente mentre al cinema vedevo questo film. Questa angoscia istintiva era dovuta alla situazione che il film rappresenta, quella cioè di una carenza di acqua talmente severa da portare la gente in piazza e la polizia a presidiare le fontane, da provocare l'arresto di chi lava la macchina e la stigmatizzazione di chi annaffia le sue piantine. E la crisi idrica che abbiamo vissuto questa estate rende ancor più verosimile il timore di trovarsi in una situazione analoga a quella descritta nel film, crisi di cui peraltro ormai non si parla più: gli argomenti "caldi" sono infatti la guerra, il costo dell'energia, la formazione del nuovo governo, senz'altro tutti sacrosanti, ma l'estate prossima rischiamo un bis la cui entità non è possibile prevedere.
Ma vi è un secondo motivo di angoscia di cui mi sono reso conto in un secondo tempo, e questa dovuta all'affresco altmaniano che il regista ci offre sui comportamenti di una umanità variegata che va dal carcerato evaso suo malgrado all'improvvisata guardia del corpo, dal blogger compulsivo con moglie depressa e figlio borderline alla famiglia di industriali del turismo. E' deprimente oltre che angosciante vedere come questa umanità si comporti una volta sottoposta alla prova da sforzo della siccità, in pratica accentuando i difetti del mondo contemporaneo: egoismo e narcisismo (il blogger e gli industriali), fragilità (lo scienziato che si lascia corrompere dal mondo delle terrazze romane e il povero autista di taxi che si affida alla cocaina), incomunicabilità (la famiglia del blogger), violenza (la guardia del corpo). Poche le eccezioni: la moglie del blogger, commovente nel suo attaccamento alle piantine, possibile succedaneo della mancanza di amore in famiglia, i due giovani innamorati, il carcerato, quest'ultimo peraltro apparentemente preda di un deficit cognitivo. E a questo quadro fanno da sfondo i media, in particolare la televisione, che Virzì ci mostra all'opera nel selezionare le notizie non tanto per la loro importanza e veridicità, ma semplicemente in base all'impatto che prevedibilmente potranno avere sul pubblico (a questo proposito vedasi le ultime righe del paragrafo precedente).
Rimane da esaminare il finale: finalmente piove, ma non piovono rane come in “Magnolia" (P.T. Anderson, 2009) a simboleggiare il compiersi di una punizione divina per i comportamenti dell'umanità, piove invece acqua. Che significato possiamo dare a questa pioggia, quello di salvatrice di una umanità che non sembra meritare di essere salvata? O dobbiamo forse pensare che si tratti dell'inizio di un nuovo diluvio universale che spazzerà via il genere umano?
giovedì 21 luglio 2022
Quattro film per un tema: la Memoria
mercoledì 18 maggio 2022
“Generazione low-cost”, Emmanuel Marre e Julie Lecoustre (2021)
Ancora una volta il titolo italiano, forse scelto perchè vagamente accattivante, non rende lo spirito del film. Meglio sarebbe stato mantenere l'originale Rien à foutre, traducibile nella migliore delle ipotesi con “Frega niente” per non dir di peggio. Ed in effetti ai quadri della compagnia aerea per cui lavora come assistente di volo Cassandra (Adèle Exarchopoulos), la cui divisa richiama i colori di una nota compagnia low-cost irlandese, non interessa nulla di ciò che riguarda dipendenti e passeggeri purché siano salvi l’immagine e il profitto. I rapporti umani contano zero (appunto) e lo vediamo chiaramente ad esempio quando Cassandra viene rimproverata aspramente per aver acquistato con la sua carta di credito una bottiglia di vino per consolare una passeggera in evidente crisi depressiva; le regole non permettono l’uso della carta di credito dei dipendenti per acquisti in volo e ciò basta. Si tratta dell’esatto contrario dell’approccio fenomenologico, proposto da Edmund Husserl, che prevede di interpretare il mondo che ci circonda indipendentemente da preconcetti, cercando di capire il perchè degli eventi; qui invece del perché “frega niente” a nessuno.
mercoledì 27 aprile 2022
"Licorice Pizza”, Paul Thomas Anderson (2021)
Fin dal titolo Anderson ci guida nel periodo in cui è ambientato il suo film: "pizza alla liquirizia" era infatti un termine gergale in voga negli anni ’60-’70 negli Stati Uniti per indicare i dischi in vinile. E per la precisione siamo nel 1973, un periodo particolare nella storia di quella nazione. A causa dello shock petrolifero (quello delle nostre domeniche a piedi, come i più anziani ricorderanno) e dell’inizio della fine ingloriosa della guerra in Vietnam gli americani iniziarono allora a rendersi conto del declino della loro potenza, che subì poi un ulteriore colpo con le dimissioni del presidente Nixon nel 1974 a causa dello scandalo del Watergate. In questo contesto sociale si svolge la vicenda d’amore di Alana (Alana Kane) e Gary (Cooper Hoffman), entrambi perfetti nei loro ruoli. La prima è decisamente più avanti in età del secondo, ciononostante, quando Gary la vede capisce subito che sarà la sua sposa. La lettura del film può quindi essere fatta su un piano sia sociale che romantico. Per quanto riguarda il primo, lo spaccato che Anderson ci fornisce è quello di una società basata sulla finzione per non dire sull’inganno (non a caso la vicenda è ambientata proprio a Hollywood, la fabbrica dei sogni, ma anche degli incubi, come abbiamo visto in “C’era una volta a Hollywood", Quentin Tarantino, 2019) e sul business, nella quale i valori umani sono ben poco rappresentati. Abbiamo infatti il giovane Gary che impersona l’intraprendente e fanfarone businessman nordamericano alla ricerca inarrestabile di occasioni di guadagno che esorta Alana a mentire senza esitazione nei colloqui di lavoro pur di venire assunta. Non mancano poi il personaggio politico in corsa per la carica di sindaco di Los Angeles nella figura di Joel (Benny Safdie), bello e buono in apparenza, ma spietato nei rapporti personali ed un paio di attori cinematografici, William (Sean Penn) e Jon (Bradley Cooper), ricchi e affermati ma inesistenti sul piano umano. Ed emerge anche la violenza come vediamo nell’arresto brutale di Gary, accusato di omicidio in base a indizi inesistenti, evidente dimostrazione di quella police brutality di cui si iniziò a parlare negli anni ‘60 e che tuttora persiste. In questo contesto sociale deprimente e decadente si svolge la vicenda amorosa dei due protagonisti e si svolge sempre di corsa, come se Anderson volesse dirci che poco tempo rimane per l’amore in questa società ossessivamente orientata all’impiego ottimale del tempo per rincorrere il business. E a forza di correre Gary e Alana, dopo essersi lasciati e ripresi per 2 ore e 13 minuti, finalmente riusciranno ad incontrarsi in un happy ending rincuorante e molto hollywoodiano.
lunedì 18 aprile 2022
“La figlia oscura”, Maggie Gyllenhaal (2021)
La professoressa Leda Caruso (Olivia Colman in età adulta e Jessie Buckley da ragazza) è una donna sola e tormentata dai ricordi di un passato infelice: la sua vita famigliare è stata costellata di scontri con il marito, con il quale non vi era accordo su nulla, e con le figlie che la assillavano (come tutti i bambini) con le loro richieste impedendole di portare avanti il suo lavoro di accademica in letteratura comparata. Il tutto è culminato nell'abbandono della famiglia per una infatuazione con il suo mentore, il professor Hardy (Peter Sarsgaard), Nemmeno quando decide di concedersi una vacanza su un’isola greca i suoi demoni le daranno tregua, come già nelle prime scene fa prevedere il bel cesto di frutta che la accoglie nell’appartamento affittato, il cui contenuto, apparentemente appetitoso, si rivela in realtà marcio. Nel corso della narrazione lo spettatore si accorge che Leda, apparentemente di indole solitaria, cerca in realtà il rapporto con gli altri, basta vedere come segue con attenzione le vicende dei frequentatori della spiaggia cercando di entrare nelle loro vite alla ricerca di una vita sua che non è stata capace di avere, disturbata in questa attività (come in gioventù dalle figlie) da bande di ragazzi rumorosi ed invadenti. In particolare la sua attenzione viene attratta dalla giovane Nina (Dakota Johnson) nelle cui ansie per la figlia, nei disaccordi con il marito e nella ricerca di una relazione extraconiugale, essa rivive tutte le sue vicende. Quando poi la figlia di Nina perde sulla spiaggia la bambola preferita, innescando una catena infinita di pianti e lamentele, apprendiamo che era stata Leda ad impossessarsi della bambola. E qui emerge un episodio del passato, di quando da bambina sua madre le regalò una bambola cui Leda si era poi tenacemente attaccata e che in seguito volle regalare ad una delle figlie. Quando la bimba con il pennarello disegnò degli sgorbi sulla bambola, Leda gliela tolse di mano con violenza esclamando "È la mia bambola". Ecco quindi apparire il problema di fondo, vale a dire l'incapacità di Leda di superare la fase di immaturità infantile che si trascina nell'età adulta e le impedisce di indirizzare in modo positivo i suoi rapporti con gli altri, come vediamo anche nella sua incapacità di imbastire una relazione, dapprima con l’anziano Lyle (Ed Harris), anch’egli con una vita famigliare tormentata alle spalle, e poi con il giovane Will (Paul Mescal), che le preferisce Nina. Ed infatti la vediamo attaccarsi morbosamente alla bambola, pulirla accuratamente ignorando i segnali che la avvertono del suo errore nell'agire così (il verme che esce dalla bocca della bambola). Ma Leda è alla ricerca, forse inconsciamente, di una punizione per gli errori che ha commesso nella sua vita famigliare, decide quindi di confessare di aver sottratto lei la bambola, per espiare attraverso la reazione inferocita di Nina tutti gli errori che ha commesso nella sua vita passata. Ed alla fine Leda lascia l'appartamento gettando dalle scale le valigie piene dei suoi libri di studio, come ad incolpare la carriera di averle rovinato la vita, sale in macchina ed inizia a guidare follemente fino ad uscire di strada. Dopo uno stacco che porta lo spettatore a crederla morta, la vediamo invece risvegliarsi al sole e sbucciare sorridente un'arancia con le mani, contravvenendo alla sua regola aurea di spellare le arance accuratamente con il coltello in modo da formare una sorta di serpente a spirale. Forse la regista ci ha voluto dire con quest'ultima metafora che Leda a 48 anni può ancora rompere con il suo modo di essere e relazionarsi nella giusta maniera con il mondo seguendo l'insegnamento di Simone Weil nella citazione che ne fa il professor Hardy: "L'attenzione è la forma più rara e più pura della generosità".
venerdì 25 marzo 2022
“Il Legionario”, Hleb Papou (2021)
Questo è un film a mio parere coraggioso e vedremo in seguito il perchè, prima ne riassumiamo in sintesi la trama. Daniel (Germano Gentile), felicemente sposato ed in attesa di una bambina, è l’unico agente di colore della “Celere” di Roma; suo fratello Patrick (Maurizio Bousso) con la madre, la moglie ed un figlio vive invece da 16 anni in uno stabile occupato della periferia romana, in una condizione di perenne incertezza per il rischio di una possibile evacuazione forzata. E la narrazione ci porta gradualmente all’apice del dramma, cioè al momento in cui Daniel, che ha nascosto ai suoi superiori i suoi rapporti famigliari, non può evitare di partecipare alla definitiva evacuazione dello stabile.
Perchè questo è un film coraggioso? Perchè ci costringe a guardare in faccia aspetti della realtà che molti non vogliono vedere. Quando sentiamo infatti Daniel e Patrick parlare con un accento romanesco perfetto, il primo a suo agio in un ambiente particolare come la Polizia di Stato, sposati l’uno con una italiana dagli occhi azzurri e i capelli biondi e l’altro con un’albanese (senza considerare i nomi italianissimi degli attori), non possiamo nasconderci che nella nostra attuale società il luogo di origine della famiglia o il colore della pelle non possono rappresentare una linea di discrimine insuperabile per definire chi è italiano e chi no. Ma vi è anche un altro aspetto della realtà che il film solleva, scomodo e di cui non si parla, ed è la difficoltà dei "celerini" nell'espletare il loro lavoro, costantemente costretti ad agire in condizioni di estrema difficoltà, urgenza e pericolo sul filo del rasoio fra mantenimento dell'ordine da una parte ed eccesso di violenza dall'altra e quindi esposti a critiche provenienti di volta in volta da destra o da sinistra. E come risolve il nostro Daniel il suo conflitto? Lui che è riuscito, contrariamente al fratello Patrick, ad integrarsi perfettamente nella società, lui che rischia di perdere tutto ciò per cui ha duramente lavorato se nel momento cruciale non farà la scelta giusta? Ma quale è la scelta giusta? Ecco che Daniel si trova nella posizione di Antigone nel dover decidere, al momento dello sgombero dello stabile, fra legge e famiglia, ma la sua posizione è ancora più difficile poichè la scelta è addirittura fra famiglia e famiglia, il suo superiore Aquila (Marco Falaguasta) gli ricorda infatti puntualmente che la Celere è più di un lavoro una famiglia i cui membri (il termine adottato è non a caso fratelli) si proteggono a vicenda. Quale sarà la scelta di Patrick non può ovviamente essere qui riportato, ma in ogni caso qualsiasi essa sia, come nel caso di Antigone, il confine fra giusto e sbagliato è talmente fumoso da poter essere indistinguibile. L'emissario di Papa Francesco che fa saltare i sigilli apposti all'impianto elettrico dello stabile da parte del comune di Roma non ha invece alcun problema a decidere fra solidarietà umana e legge nello scegliere la prima. "Il Legionario" è un film socialmente utile se non addirittura necessario. Purtroppo, quando ho assistito alla proiezione ero del tutto solo in sala.
venerdì 11 febbraio 2022
"Tre piani”, Nanni Moretti (2021)
Vittorio (Nanni Moretti), di professione giudice, controlla rigidamente e senza mai un sorriso la vita della famiglia, arrivando a sottoporre il figlio Andrea (Alessandro Sperduti) all’età di 8 anni ad una pantomima di processo casalingo per avergli sottratto alcuni spiccioli. Dora, la madre, (Margherita Buy) compensa la situazione con un comportamento tanto protettivo da diventare a tratti patetico. Non sorprende che il giovane Andrea ne combini di tutti i colori ed infine lasci definitivamente la famiglia.
Lucio (Riccardo Scamarcio), è preda di una paranoia ossessiva dovuta alla certezza (in assenza di validi motivi) che un anziano vicino di casa abbia molestato sua figlia. Quest’idea delirante aleggerà sulla famiglia per tutta la durata ultradecennale della narrazione.
Monica (Alba Rohrwacher) è affetta, al pari della madre, da una psicosi allucinatoria che la porterà ad abbandonare la famiglia senza lasciare traccia di sè.
Il rapporto genitori-figli è un tema dominante del film. In particolare è sottolineato un aspetto di cui non si parla volentieri ma che rappresenta una tragica realtà cioè il fatto che i genitori sono frequentemente, ed inconsapevolmente, i peggiori nemici dei propri figli. Ma anche il modo prendere la vita, sempre e solo di punta, senza cercare di smussarne, ma quasi volendone affilare, gli angoli risuona in tutta la narrazione. Ed in effetti il tango collettivo cui assistiamo alla fine del film ha il significato di richiamarci ad un atteggiamento più lieve nei confronti della vita. Più lieve, sì, però la natura stessa del tango, il suo non essere un ballo spensierato come il valzer o la mazurca, rappresenta un avvertimento, avvertimento che troviamo esplicitato nella poesia “Itaca” di Kostantinos Kavafis dove, nel paragonare alla vita il viaggio di ritorno a casa di Ulisse, egli scrive: In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, nè nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro, se l’anima non te li mette contro. Vivere lievemente la vita è quindi buona cosa, purché il nostro inconscio non celi demoni che possono impedircelo. Ed un suggerimento semplice, ma importante, per vivere bene la vita è ben espresso nell’immagine di copertina del libro omonimo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo da cui il film è tratto, riprodotta di seguito, da cui ricaviamo che è l’equilibrio, in particolare fra Emozione e Ragione come insegnava Platone nel “Fedro” con il mito della biga alata, il modo più sicuro di viver bene la vita.
domenica 16 gennaio 2022
"Un Eroe”, Asghar Fahradi (2021)
Nel vedere questo film è difficile non pensare a “Ladri di biciclette” (Vittorio de Sica, 1948). La trama è simile, in particolare è simile la figura dei figli, due innocenti che assistono impotenti ai guai dei padri, ancora più fragile il piccolo iraniano perchè oltre che bambino è anche balbuziente; per lo spettatore italiano è quindi una sorta di ritorno al neorealismo, ulteriormente sottolineato dalla minuzia con cui il regista ci mostra i dettagli della vita di tutti i giorni nell’Iran di oggi, aspetto molto interessante di questa pellicola. Un altro paragone che viene facilmente alla mente dello spettatore è con i film dei fratelli Cohen la cui tematica è semplice: si inizia con un misfatto, spesso compiuto a fin di bene, dopodiché per quanto si cerchi di porvi rimedio ci si avvita in una spirale diabolica che non può che portare al peggiore dei finali. Sembra che i due registi nordamericani ed il regista iraniano siano accomunati in una visione pessimista del mondo per cui non vi è possibilità di redenzione dai propri misfatti, il che ricorda più i concetti del protestantesimo radicale che quelli della religione ebraica ed islamica. Al di là di queste analogie, il film di Farhadi, tutto giocato abilmente sulla costruzione della spirale diabolica di cui sopra che non lascia un attimo di tranquillità allo spettatore, si presta ad un’altra importante considerazione: chi ha torto e chi ha ragione, Rahim il debitore o Bahram (Mohsen Tanabandeh) il creditore? La simpatia umana va istintivamente al primo (grazie anche alla captatio benevolentiae operata dalla figura del figlio balbuziente), ma anche il secondo ha le sue ragioni nel voler recuperare il suo credito, ragioni che il ricorso alla violenza da parte di Rahim, pur se comprensibile a causa della sua disperazione, le rende ancora più evidenti. Bahram ricorda inoltre spesso l'inaffidabilità di Rahim (suo ex-cognato), proiettando un’ombra di dubbio su un personaggio a tutta prima del tutto positivo. Detto ciò, non si può non sottolineare che nel finale Rahim riconosce la propria colpa e cerca la redenzione con il suo ultimo atto che chiude il film. In definitiva Farhadi non fa che confermare un concetto noto e cioè che il colore prevalente nel mondo è il grigio, è difficile spesso definire nettamente il confine fra bianco e nero, reso ancora più opaco dal conflitto fra considerazioni morali e regole di legge, come chiaramente dimostra il mito di Antigone.