venerdì 11 novembre 2022

“Triangle of Sadness”, Ruben Östlund (2022)

 

Dopo un silenzio di 5 anni, Östlund ritorna (trionfalmente, vista la Palma d’Oro ottenuta a Cannes quest’anno) nelle sale cinematografiche con un’altra opera dedicata alla critica sociale in modalità Castigat ridendo mores, dopo “The Square” (2017) e “Forza maggiore” (2014, quest’ultimo peraltro più centrato sulla responsabilità individuale).

Una lussuosissima nave da crociera ospita un gruppo di super-ricchi per una vacanza fra mille agi. Tutto procede bene (eccetto il comportamento bizzarro del capitano Thomas, un Woody Harrelson perfetto per la parte), finché una tempesta e l’aggressione da parte di una barca di pirati causa il naufragio della nave, dal quale si salvano su un'isoletta 5 ospiti e 3 membri dell’equipaggio. 

Le tematiche del film sono la diseguaglianza e la brama di potere, nonché una presa di giro di alcuni cliché del mondo moderno, del quale in “The Square” l’obiettivo era il mondo dell’arte, in questo caso il mondo della moda. Non manca inoltre una critica del modo in cui si creano le grandi ricchezze, in accordo con l’aforisma di Balzac “Dietro ogni grande fortuna c’è un crimine”. Fin dall’inizio, dopo la spassosissima scena della selezione dei modelli, la diseguaglianza emerge quando due spettatori della sfilata di moda vengono con fermezza fatti alzare dal posto in prima fila ed accomodare nelle retrovie per far posto a dei VIP, il tutto mentre sullo schermo che fa da sfondo alla passerella brilla ipocritamente la scritta We are equal (siamo uguali). Viene in mente a questo proposito il testo di “Cara Maestra”, una canzone del 1962 in cui Luigi Tenco denunciava, con grande anticipo sui tempi, proprio la diseguaglianza vigente in una società che affermava a gran voce di volere l'uguaglianza dei suoi membri. Il potere è nella prima parte del film appalto esclusivo dei ricchi, ai quali è concessa la soddisfazione di qualsiasi richiesta, anche la più assurda, come farsi recapitare con un elicottero qualche vasetto di Nutella; dopo il naufragio lo scettro del potere passa nelle mani dei subordinati, in particolare di Abigail (Dolly De Leon), in precedenza addetta alla pulizia delle toilette, che, essendo l’unica capace di pescare, accendere un fuoco e cucinare, detiene un potere assoluto, arrivando ad esercitare una sorta di jus primae noctis sul giovane Carl (Harris Dickinson), con comprensibile nervosismo della fidanzata Yaya (Charlbi Dean) la quale d’altro canto, quando Carl è tenuto a digiuno per punizione da Abigail, non si sogna nemmeno di cedergli un po’ della sua porzione di cibo. Insomma, egoismo feroce su tutta la linea, salvo mettersi tutti a piangere quando devono uccidere un asino per procurarsi da mangiare. La lotta di classe secondo Österlund è quindi destinata a ridursi ad un passaggio di potere, non ad una sua equa distribuzione e la storia degli ultimi cento anni sembra dargli ragione. E questa smania di potere, ci dice il finale (un po’ criptico), può indurre a considerare anche l’omicidio. In tutta questa storia due personaggi spiccano fra gli altri, il capitano Thomas, che si definisce marxista, ma ammette di tradire la sua ideologia per sbarcare il lunario e manifesta questa contraddittorietà con un comportamento non proprio in linea con il suo ruolo, facilitato da un discreto abuso alcolico, ed una signora (Iris Berben), curiosamente afasica ed emiplegica a destra nella prima metà del film ed a sinistra nella seconda (sic), che, imperturbabile durante tutto il film e scampata anch’essa al naufragio, si limita ad esclamare a tratti In den Wolken (nelle nuvole). Se queste parole hanno un senso non è facile comprenderlo: potrebbe forse essere riferito al modo di vivere delle fasce privilegiate della società, vale a dire, ampliando la frase, mit dem Kopf in den Wolken cioè con la testa nelle le nuvole, quindi distanti anni-luce dalla realtà?

Nessun commento:

Posta un commento