venerdì 11 febbraio 2022

"Tre piani”, Nanni Moretti (2021)

L’immagine su cui scorrono i titoli di testa del film di Moretti ne riassume in nuce la trama. Vi sono infatti rappresentati tre alberi di cui i due laterali sono nel pieno della fioritura mentre il terzo, centrale, è rinsecchito, il tutto sullo sfondo del condominio in cui si svolgerà la narrazione. Questa metafora racchiude la storia delle tre famiglie protagoniste del film, ognuna costituita da tre membri uno dei quali (l’albero secco) presenta un quadro di disagio psicologico destinato ad influenzare in modo drastico la vita sua e degli altri due componenti.

Vittorio (Nanni Moretti), di professione giudice, controlla rigidamente e senza mai un sorriso la vita della famiglia, arrivando a sottoporre il figlio Andrea (Alessandro Sperduti) all’età di 8 anni ad una pantomima di processo casalingo per avergli sottratto alcuni spiccioli. Dora, la madre, (Margherita Buy) compensa la situazione con un comportamento tanto protettivo da diventare a tratti patetico. Non sorprende che il giovane Andrea ne combini di tutti i colori ed infine lasci definitivamente la famiglia.

Lucio (Riccardo Scamarcio), è preda di una paranoia ossessiva dovuta alla certezza (in assenza di validi motivi) che un anziano vicino di casa abbia molestato sua figlia. Quest’idea delirante aleggerà sulla famiglia per tutta la durata ultradecennale della narrazione.

Monica (Alba Rohrwacher) è affetta, al pari della madre, da una psicosi allucinatoria che la porterà ad abbandonare la famiglia senza lasciare traccia di sè.

Il rapporto genitori-figli è un tema dominante del film. In particolare è sottolineato un aspetto di cui non si parla volentieri ma che rappresenta una tragica realtà cioè il fatto che i genitori sono frequentemente, ed inconsapevolmente, i peggiori nemici dei propri figli. Ma anche il modo prendere la vita, sempre e solo di punta, senza cercare di smussarne, ma quasi volendone affilare, gli angoli risuona in tutta la narrazione. Ed in effetti il tango collettivo cui assistiamo alla fine del film ha il significato di richiamarci ad un atteggiamento più lieve nei confronti della vita. Più lieve, sì, però la natura stessa del tango, il suo non essere un ballo spensierato come il valzer o la mazurca, rappresenta un avvertimento, avvertimento che troviamo esplicitato nella poesia “Itaca” di Kostantinos Kavafis dove, nel paragonare alla vita il viaggio di ritorno a casa di Ulisse, egli scrive: In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, nè nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro, se l’anima non te li mette contro. Vivere lievemente la vita è quindi buona cosa, purché il nostro inconscio non celi demoni che possono impedircelo. Ed un suggerimento semplice, ma importante, per vivere bene la vita è ben espresso nell’immagine di copertina del libro omonimo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo da cui il film è tratto, riprodotta di seguito, da cui ricaviamo che è l’equilibrio, in particolare fra Emozione e Ragione come insegnava Platone nel “Fedro” con il mito della biga alata, il modo più sicuro di viver bene la vita.

 

  







 

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