lunedì 18 aprile 2022

“La figlia oscura”, Maggie Gyllenhaal (2021)


La professoressa Leda Caruso (Olivia Colman in età adulta e Jessie Buckley da ragazza) è una donna sola e tormentata dai ricordi di un passato infelice: la sua vita famigliare è stata costellata di scontri con il marito, con il quale non vi era accordo su nulla, e con le figlie che la assillavano (come tutti i bambini) con le loro richieste impedendole di portare avanti il suo lavoro di accademica in letteratura comparata. Il tutto è culminato nell'abbandono della famiglia per una infatuazione con il suo mentore, il professor Hardy (Peter Sarsgaard), Nemmeno quando decide di concedersi una vacanza su un’isola greca i suoi demoni le daranno tregua, come già nelle prime scene fa prevedere il bel cesto di frutta che la accoglie nell’appartamento affittato, il cui contenuto, apparentemente appetitoso, si rivela in realtà marcio. Nel corso della narrazione lo spettatore si accorge che Leda, apparentemente di indole solitaria, cerca in realtà il rapporto con gli altri, basta vedere come segue con attenzione le vicende dei frequentatori della spiaggia cercando di entrare nelle loro vite alla ricerca di una vita sua che non è stata capace di avere, disturbata in questa attività (come in gioventù dalle figlie) da bande di ragazzi rumorosi ed invadenti. In particolare la sua attenzione viene attratta dalla giovane Nina (Dakota Johnson) nelle cui ansie per la figlia, nei disaccordi con il marito e nella ricerca di una relazione extraconiugale, essa rivive tutte le sue vicende. Quando poi la figlia di Nina perde sulla spiaggia la bambola preferita, innescando una catena infinita di pianti e lamentele, apprendiamo che era stata Leda ad impossessarsi della bambola. E qui emerge un episodio del passato, di quando da bambina sua madre le regalò una bambola cui Leda si era poi tenacemente attaccata e che in seguito volle regalare ad una delle figlie. Quando la bimba con il pennarello disegnò degli sgorbi sulla bambola, Leda gliela tolse di mano con violenza esclamando "È la mia bambola". Ecco quindi apparire il problema di fondo, vale a dire l'incapacità di Leda di superare la fase di immaturità infantile che si trascina nell'età adulta e le impedisce di indirizzare in modo positivo i suoi rapporti con gli altri, come vediamo anche nella sua incapacità di imbastire una relazione, dapprima con l’anziano Lyle (Ed Harris), anch’egli con una vita famigliare tormentata alle spalle, e poi con il giovane Will (Paul Mescal), che le preferisce Nina. Ed infatti la vediamo attaccarsi morbosamente alla bambola, pulirla accuratamente ignorando i segnali che la avvertono del suo errore nell'agire così (il verme che esce dalla bocca della bambola). Ma Leda è alla ricerca, forse inconsciamente, di una punizione per gli errori che ha commesso nella sua vita famigliare, decide quindi di confessare di aver sottratto lei la bambola, per espiare attraverso la reazione inferocita di Nina tutti gli errori che ha commesso nella sua vita passata. Ed alla fine Leda lascia l'appartamento gettando dalle scale le valigie piene dei suoi libri di studio, come ad incolpare la carriera di averle rovinato la vita, sale in macchina ed inizia a guidare follemente fino ad uscire di strada. Dopo uno stacco che porta lo spettatore a crederla morta, la vediamo invece risvegliarsi al sole e sbucciare sorridente un'arancia con le mani, contravvenendo alla sua regola aurea di spellare le arance accuratamente con il coltello in modo da formare una sorta di serpente a spirale. Forse la regista ci ha voluto dire con quest'ultima metafora che Leda a 48 anni può ancora rompere con il suo modo di essere e relazionarsi nella giusta maniera con il mondo seguendo l'insegnamento di Simone Weil nella citazione che ne fa il professor Hardy: "L'attenzione è la forma più rara e più pura della generosità".

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