L’abilità del regista risiede nell’indagare psiche e storia della Callas per far emergere la o le cause del disagio psicologico che l’ha accompagnata negli ultimi tempi della sua vita, rendendo così la sua opera non una banale cronaca biografica, ma una indagine approfondita del personaggio. E così apprendiamo di una infanzia infelice: il padre assente, la madre che la prostituiva ai soldati tedeschi (e meno male che i più sensibili pagavano solo per sentirla cantare), un matrimonio di cui molto non ci viene mostrato ma verosimilmente non solido visto che si è infranto con l’arrivo di Onassis (Haluk Bilginer) il quale a sua volta non l’ha mai veramente amata, nonostante le ripetute dichiarazioni, considerandola alla stregua delle opere d’arte che, se non riusciva ad acquistare, faceva rubare. D’altro canto ella stessa non amò verosimilmente il marito, ma neanche Onassis, visto che in punto di morte andò a trovarlo solo su sua richiesta. Dove poteva trovare allora Maria l’amore di cui aveva bisogno per vivere? Ebbene lo percepiva come Callas nel pubblico osannante che a modo suo l’amava e dell’amore del quale ella si nutriva. Non a caso infatti narra a Mandrax che la vita era per lei il teatro al di fuori del quale non vi era per lei nulla. L'amore che le viene dal pubblico è peraltro effimero poiché inizia inesorabilmente a declinare con il declinare della voce. E sbaglia la sorella Yakinthi (Valeria Golino) nel dirle di “chiudere la porta” cioè di dimenticare il passato poiché solo il passato porta a Maria il ricordo dell'amore. Ma in realtà di frammenti di amore Maria può godere anche nell’ultima parte della sua breve vita, quelli che le arrivano da Ferruccio e dalla governante Bruna (Alba Rohrwacher), le uniche due persone che hanno sinceramente amato sia Maria che Callas, sulla figura delle quali giustamente il regista chiude il film.
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