giovedì 9 gennaio 2025

“Maria”, Pablo Larraín (2024)

Perché il titolo “Maria” e non "Maria Callas" o “Callas”? Non è una questione da poco, anzi è la questione. Non a caso, il giovane intervistatore (Kodi Smit-McPhee) che segue Maria nel corso della sue ultime due settimane di vita le chiede più volte come voglia essere chiamata ed essa risponde a volte Maria e a volte Callas. Il doppio ricorre poi nel corso di tutto questo periodo lungo il quale si svolge la narrazione. Ad esempio, il pianista (Stephen Ashfield) che cerca di aiutarla nei suoi disperati tentativi di ritrovare la voce, alla fine di una delle sessioni le dice:” Questa era Maria che cantava; io voglio sentire la Callas”, poiché la voce della prima esprimeva tutta la sua disperazione e la seconda tutta la sua arte. Inoltre, nel corso della prima intervista, Maria dice che dopo una esibizione insoddisfacente era combattuta tra due voci, una che le diceva di combattere e l’altra invece che avrebbe dovuto vergognarsi. E ancora, il sovrapporsi di realtà ed immaginazione. La narrazione si svolge infatti costantemente su due piani, la realtà che tutti vediamo e le allucinazioni che la depressione psicotica e i farmaci portano alla mente di Maria, allucinazioni di cui ella si rende ben conto, come dice chiaramente al maggiordomo Ferruccio (Pierfrancesco Favino):” Ciò che è reale e ciò che non è reale sono affari miei”. Ed alla fine del film avremo conferma che anche l'intervistatore non è reale, bensì un'allucinazione indotta dal Mandrax (metaqualone), sedativo di cui Maria ha pesantemente abusato e con il nome del quale ha "battezzato” l’intervistatore. 

L’abilità del regista risiede nell’indagare psiche e storia della Callas per far emergere la o le cause del disagio psicologico che l’ha accompagnata negli ultimi tempi della sua vita, rendendo così la sua opera non una banale cronaca biografica, ma una indagine approfondita del personaggio. E così apprendiamo di una infanzia infelice: il padre assente, la madre che la prostituiva ai soldati tedeschi (e meno male che i più sensibili pagavano solo per sentirla cantare), un matrimonio di cui molto non ci viene mostrato ma verosimilmente non solido visto che si è infranto con l’arrivo di Onassis (Haluk Bilginer) il quale a sua volta non l’ha mai veramente amata, nonostante le ripetute dichiarazioni, considerandola alla stregua delle opere d’arte che, se non riusciva ad acquistare, faceva rubare. D’altro canto ella stessa non amò verosimilmente il marito, ma neanche Onassis, visto che in punto di morte andò a trovarlo solo su sua richiesta. Dove poteva trovare allora Maria l’amore di cui aveva bisogno per vivere? Ebbene lo percepiva come Callas nel pubblico osannante che a modo suo l’amava e dell’amore del quale ella si nutriva. Non a caso infatti narra a Mandrax che la vita era per lei il teatro al di fuori del quale non vi era per lei nulla. L'amore che le viene dal pubblico è peraltro effimero poiché inizia inesorabilmente a declinare con il declinare della voce. E sbaglia la sorella Yakinthi (Valeria Golino) nel dirle di “chiudere la porta” cioè di dimenticare il passato poiché solo il passato porta a Maria il ricordo dell'amore. Ma in realtà di frammenti di amore Maria può godere anche nell’ultima parte della sua breve vita, quelli che le arrivano da Ferruccio e dalla governante Bruna (Alba Rohrwacher), le uniche due persone che hanno sinceramente amato sia Maria che Callas, sulla figura delle quali giustamente il regista chiude il film. 

 

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