martedì 28 gennaio 2025

"Emilia Pérez”, Jacques Audiard (2024)

Juan "Manitas" Del Monte (Karla Sofia Gascon), è all’apice di un cartello della droga messicano. Questo mestiere richiede mancanza di scrupoli, spietatezza ed utilizzo di una violenza efferata e Manitas lo svolge assai bene. Il problema è però che nel suo intimo nutre da sempre il desiderio di diventare donna, desiderio che ha dovuto reprimere per anni atteggiandosi per sopravvivere a feroce criminale. Giunto all’apice della sua “carriera” decide di perseguire il suo desiderio ed incarica Rita Moro Castro (Zoe Saldana), giovane avvocatessa dipendente di uno studio legale di Città del Messico, frustrata e depressa per il suo lavoro che consiste nel far assolvere da qualsiasi crimine clienti ricchi e famosi, di organizzare un’operazione complessa che comprende la sparizione di Manitas dal Messico, l'intervento di chirurgia plastica per il cambiamento di sesso da compiere in segreto al di fuori delle Americhe ed il trasferimento della moglie Jessi (Serena Gomez) e dei figli in una località segreta per metterli al riparo dalle vendette di bande rivali. 
Tre sono le figure attraverso le quali Audiard mette in risalto i temi trattati. Da una parte Manitas e Rita condividono il desiderio di cambiare, l’uno il sesso, l’altra gli obiettivi del lavoro; entrambi sono quindi in cerca di una metamorfosi che permetta loro di raggiungere la felicità nel senso greco di eudaimonía vale a dire realizzazione dei propri orientamenti. Jessi invece non vorrebbe cambiare nulla: vive nell’agiatezza e può condurre a piacimento relazioni extraconiugali per cui quando le viene prospettato il trasferimento a tempo indefinito con i figli in Svizzera reagisce con orrore.
Passano gli anni e ritroviamo Rita e Manitas a Londra, la prima avvocato di successo e la seconda, femmina e ribattezzata Emilia Pérez ((Karla Sofia Gascon), a suo agio nella cerchia dell’alta finanza. Tutto risolto quindi? No, il passato fa capolino sotto forma del desiderio di Emilia di rivedere i suoi figli, fingendosi una loro zia. Chiede quindi a Rita di organizzare il suo ritorno in Messico sotto queste vesti e di riportarvi Jessi e i bimbi per vivere tutti insieme. Tornati tutti in Messico, Emilia viene a sapere del numero impressionante di scomparsi nella guerra fra bande di narcotrafficanti e decide di creare un'organizzazione no profit per la ricerca dei cadaveri di questi desaparecidos e restituirli alle famiglie. Ecco quindi un altro tema: l’esigenza di una redenzione dalle proprie cattive azioni, anch’essa parte del meccanismo di rigetto del passato, iniziato attraverso la metamorfosi.
Ma, a conferma di quanto scriveva William Faulkner in “Requiem per una monaca” (1951), Il passato non è mai morto, non è neanche passato, Jessi riallaccia la sua relazione con Gustavo Bruno (Édgar Ramiréz) progettando di sposarlo ed Emilia, ingelosita, le rivela tutta la vicenda. Nonostante un tardivo pentimento di Jessi l’esito della storia è tragico.
“Emilia Pérez” affronta in conclusione tre temi importanti: il perseguimento della felicità attraverso la metamorfosi, l'impossibilità di azzerare il passato e la necessità della redenzione. Va però sottolineato anche il rilievo che il film dà alla figura dei transgender, particolarmente significativo nel clima odierno, clima che ovviamente Audiard non poteva prevedere quando furono iniziate le riprese nel maggio 2023.
  

venerdì 24 gennaio 2025

"Oh Canada”, Paul Schrader (2024)

La trama del film è semplice: Leonard Fife (in età avanzata Richard Gere, in gioventù Jason Elordi), fuggito in Canada nel 1968 per evitare di essere spedito in Vietnam e divenuto un famoso regista di documentari socialmente impegnati, è giunto alla fase terminale di una malattia tumorale ed accetta di rilasciare un’intervista sulla sua vita, una sorta di autobiografia verbale. La prima domanda che sorge è perché Fife prenda questa decisione, perché accetti di ammettere davanti alla telecamera eventi del suo passato di cui non può certo andare orgoglioso, ad esempio l’essere fuggito dall’America lasciandosi dietro la seconda moglie incinta (Kristine Froseth) ed un figlio piccolo (perché non portarli con sé?) e anche il rifiuto brutale (“Io non ho figli!") di incontrare il figlio Cornel (Zach Shaffer) che aveva appunto abbandonato trent’anni prima. La risposta è che Leonard si rende conto di ciò che ha fatto, della irresponsabilità manifestata nei confronti della famiglia. A questo proposito, non a caso I tradimenti è il titolo del romanzo di Russell Banks da cui il film è tratto. Leonard ora si trova davanti al redde rationem del fine-vita ed accetta questa intervista in cui racconta che piccolo uomo egli sia stato (nella classificazione di Sciascia al più un mezzo uomo) per il bisogno di confessarsi, di alleggerirsi in punto di morte di un peso che in modo più o meno conscio si è portato dietro per tutta la vita. E non è, si badi, una confessione intesa in senso religioso (l’argomento non viene affrontato da questa angolatura), ma come esigenza irrinunciabile che virtualmente qualsiasi essere umano presenta. In effetti il ricorso alla psicoterapia ed in particolare alla psicoanalisi è più frequente nei paesi di religione protestante, che appunto non posseggono il sacramento della confessione, rispetto a quelli cattolici. Fife si confessa quindi di fronte alla telecamera, e per accentuare l'effetto della sua confessione esige la presenza della terza moglie Emma (Uma Thurman), sua ex-allieva che gli è vicina con affetto e pazienza. 
"Oh Canada" (titolo dell'inno nazionale canadese) è un film complesso, che richiede attenzione a causa del ripetuto ricorso al flashback, realizzato per di più con l'impiego frequente di Fife adulto nelle scene che ne ritraggono la gioventù, ed alla voce fuori campo. Il motivo di questa apparentemente inspiegabile complicazione è che Schrader ha voluto farci "vivere" il funzionamento della mente di una persona nelle condizioni di Fife con una sorta di flusso di coscienza cinematografico che giustifica l'accavallarsi di tempi ed immagini. Tutto ciò non lo renderà sicuramente un blockbuster, ma probabilmente questo è un merito. 
Un tocco ironico finale è rappresentato dalla registrazione realizzata dal regista dell'intervista (Michael Imperioli) tramite una microtelecamera, posta abusivamente nella camera da letto di Fife che ne documenta gli ultimi momenti di vita, una sorta di contrappasso per chi aveva fatto del documentario una ragione di vita.

martedì 21 gennaio 2025

“Conclave”, Edward Berger (2024)

Sant’Ambrogio nel suo “Commento al Vangelo di Luca" si riferisce alla Chiesa chiamandola Casta Meretrix, ovvero Casta Prostituta. L’intento di Ambrogio era di definire in questo modo la moltitudine di amanti (i fedeli) che affluiscono alla Chiesa con i quali la stessa intraprende un rapporto non peccaminoso, quindi casto. In questo film vale invece una diversa accezione di questa espressione e cioè che la Chiesa in sé è casta ma è guidata da esseri umani, per definizione potenziali peccatori, che la rendono prostituta. E fra i cardinali che afferiscono al conclave di cui parla il film non mancano i peccatori: Tremblay (John Lithgow) pecca di simonia per aver pagato allo scopo di ottenere i voti necessari alla elezione a Papa, Adeyemi (Lucian Msamati) ha avuto un figlio in Nigeria da una relazione con una novizia, Tedesco (Sergio Castellitto) invoca l’erezione di barriere contro le altre religioni in una sorta di guerra santa. A dare ordine a questo difficile conclave è stato chiamato dal Papa venuto a mancare il cardinale Lawrence (Ralph Fiennes), uomo integro che non cessa di interrogarsi su quali siano di volta in volta le scelte giuste. E nell’omelia che pronuncia emerge chiaramente questo suo tormento che però egli interpreta in senso positivo poiché in mancanza di dubbio regna il fondamentalismo (come ad esempio in Tedesco), foriero di divisioni e guerre. Non a caso inoltre i Vangeli ci offrono la figura di due santi, Giuseppe e Tommaso, che rappresentano una chiara espressione del dubbio e ci narrano degli undici apostoli che all’incontro con Cristo risorto “si prostrarono e credettero” solo dopo averne visto le ferite. 
Altro tema importante è il rapporto della Chiesa con i mutamenti della società civile. A questo proposito la narrazione ci propone due tesi contrapposte rappresentate dai cardinali Tedesco e Adeyemi da una parte e Bellini (Stanley Tucci) e Benitez (Carlos Diehz) dall’altra. I primi sono fautori della  immobilità della Chiesa sulle sue posizioni originarie; questo atteggiamento si richiama al mito che riteneva le divinità immutabili tanto che nell’antica Grecia il “tempo” degli dei era chiamato Aion, un tempo eterno, diversamente da Chronos, il tempo degli esseri umani. I cardinali Bellini e Benitez sono invece fautori del cambiamento, ritengono che la Chiesa debba adattarsi ai mutamenti della società civile; questo atteggiamento si esplica in modo diverso nei due, probabilmente a causa della diversità delle esperienze vissute: il primo, pratico del mondo curiale e delle sue connivenze con l’economia e la politica, è disincantato e conduce una lotta di retroguardia nei confronti di Tedesco, non ritenendo se stesso nemmeno in grado di adire al soglio pontificio. Il secondo, sudamericano di nascita e abituato a svolgere i suoi compiti in territori rischiosi e lontani da Roma, è dotato di un atteggiamento e di una visione della sua missione limpidi ed evangelici che destano l’ammirazione di Lawrence, istintivamente ad essi vicino, ma anche abituato alle difficoltà della vita curiale. Alla fine del film la Chiesa dovrà piegarsi al cambiamento, dettato dalle ragioni della natura attraverso l’elezione a papa di Benitez. E questo processo è destinato a proseguire, con la lentezza della tartaruga che vediamo raggiungere la cappella dal laghetto del giardino, anche grazie al contributo di figure femminili come suor Agnes (Isabella Rossellini), governante dei cardinali ed elemento di stabilità in questo tormentoso conclave. Ed è proprio sul ruolo delle donne, rappresentato dalle novizie che vediamo uscire dal collegio sotto l’occhio del cardinale Lawrence, che il film giunge alla sua conclusione. 

giovedì 9 gennaio 2025

“Maria”, Pablo Larraín (2024)

Perché il titolo “Maria” e non "Maria Callas" o “Callas”? Non è una questione da poco, anzi è la questione. Non a caso, il giovane intervistatore (Kodi Smit-McPhee) che segue Maria nel corso della sue ultime due settimane di vita le chiede più volte come voglia essere chiamata ed essa risponde a volte Maria e a volte Callas. Il doppio ricorre poi nel corso di tutto questo periodo lungo il quale si svolge la narrazione. Ad esempio, il pianista (Stephen Ashfield) che cerca di aiutarla nei suoi disperati tentativi di ritrovare la voce, alla fine di una delle sessioni le dice:” Questa era Maria che cantava; io voglio sentire la Callas”, poiché la voce della prima esprimeva tutta la sua disperazione e la seconda tutta la sua arte. Inoltre, nel corso della prima intervista, Maria dice che dopo una esibizione insoddisfacente era combattuta tra due voci, una che le diceva di combattere e l’altra invece che avrebbe dovuto vergognarsi. E ancora, il sovrapporsi di realtà ed immaginazione. La narrazione si svolge infatti costantemente su due piani, la realtà che tutti vediamo e le allucinazioni che la depressione psicotica e i farmaci portano alla mente di Maria, allucinazioni di cui ella si rende ben conto, come dice chiaramente al maggiordomo Ferruccio (Pierfrancesco Favino):” Ciò che è reale e ciò che non è reale sono affari miei”. Ed alla fine del film avremo conferma che anche l'intervistatore non è reale, bensì un'allucinazione indotta dal Mandrax (metaqualone), sedativo di cui Maria ha pesantemente abusato e con il nome del quale ha "battezzato” l’intervistatore. 

L’abilità del regista risiede nell’indagare psiche e storia della Callas per far emergere la o le cause del disagio psicologico che l’ha accompagnata negli ultimi tempi della sua vita, rendendo così la sua opera non una banale cronaca biografica, ma una indagine approfondita del personaggio. E così apprendiamo di una infanzia infelice: il padre assente, la madre che la prostituiva ai soldati tedeschi (e meno male che i più sensibili pagavano solo per sentirla cantare), un matrimonio di cui molto non ci viene mostrato ma verosimilmente non solido visto che si è infranto con l’arrivo di Onassis (Haluk Bilginer) il quale a sua volta non l’ha mai veramente amata, nonostante le ripetute dichiarazioni, considerandola alla stregua delle opere d’arte che, se non riusciva ad acquistare, faceva rubare. D’altro canto ella stessa non amò verosimilmente il marito, ma neanche Onassis, visto che in punto di morte andò a trovarlo solo su sua richiesta. Dove poteva trovare allora Maria l’amore di cui aveva bisogno per vivere? Ebbene lo percepiva come Callas nel pubblico osannante che a modo suo l’amava e dell’amore del quale ella si nutriva. Non a caso infatti narra a Mandrax che la vita era per lei il teatro al di fuori del quale non vi era per lei nulla. L'amore che le viene dal pubblico è peraltro effimero poiché inizia inesorabilmente a declinare con il declinare della voce. E sbaglia la sorella Yakinthi (Valeria Golino) nel dirle di “chiudere la porta” cioè di dimenticare il passato poiché solo il passato porta a Maria il ricordo dell'amore. Ma in realtà di frammenti di amore Maria può godere anche nell’ultima parte della sua breve vita, quelli che le arrivano da Ferruccio e dalla governante Bruna (Alba Rohrwacher), le uniche due persone che hanno sinceramente amato sia Maria che Callas, sulla figura delle quali giustamente il regista chiude il film. 

 

mercoledì 1 gennaio 2025

"Le occasioni dell'amore"", Stéphane Brizé (2023)

Mathieu (Guillaume Canet) è un attore cinematografico di successo che ha recentemente rinunciato all'ultimo momento ad esordire sulla scena teatrale per il timore di non essere all'altezza del compito. Depresso, decide quindi di recarsi in un centro di talassoterapia a Quiberon, sulla costa bretone, dove incontra Alice (Alba Rohrwacher) con cui 15 anni prima aveva intrecciato a Parigi una relazione e che adesso vive appunto in Bretagna. 

Il film è imperniato sulla relazione fra i due protagonisti, o meglio su come questa si sia svolta e poi conclusa in passato e sulla possibilità che adesso possa riprendere. Pur sapendo fin dall'inizio che ciò non potrà avvenire poiché entrambi seguono ormai da anni vie diverse, Mathieu con la sua carriera ed una relazione con una importante giornalista televisiva e Alice sposata, madre di una quindicenne ed insegnante di pianoforte, seguiamo il dipanarsi del loro rapporto attraverso conversazioni dapprima caute e generiche e poi gradualmente sempre più intime fino a giungere al nocciolo della questione quando Alice addossa apertamente e con rancore a Mathieu la responsabilità della fine della loro passata relazione. Mathieu si assume senza discussioni questa responsabilità, pronto a profondersi in scuse e qui si apre un aspetto interessante e cioè se sia vero in effetti che la responsabilità sia stata solo sua o se egli la accetti per una sorta di pigrizia mentale o, forse meglio, di remissività. Capiamo infatti ben presto che soggetto egli sia: insicuro in tutte le sue decisioni, da quella di esordire in teatro alla scelta del copione per il prossimo film, non a caso legato a una donna che percepiamo dalle conversazioni telefoniche essere tutto il suo contrario, vale a dire sicura di sé e priva di dubbi. Nonostante un tentativo in extremis di riallacciare il loro rapporto con una nottata d'amore la cui realistica raffigurazione risulta totalmente fuori posto nell'economia del film, Alice e Mahieu si lasciano alla fine del suo soggiorno, lei per tornare all'infelice routine di tutti i giorni, il cui automatismo è rappresentato dal pianoforte che suona da solo, e lui per riprendere la sua attività di attore. Ma non è tutto qui, vi è infatti un inciso in cui Lucette (Lucette Beudin), amica di Alice e da questa intervistata, narra la storia della sua vita. Apprendiamo che, dopo aver sposato un uomo che non amava, ma che comunque definisce un buon uomo, i rapporti intimi con il quale aveva vissuto come un dovere poiché il suo interesse era rivolto alle donne, aveva conosciuto il vero amore della sua vita, Gilberte (Gilberte Bellus). Ecco quindi le “Occasioni dell’amore" di cui parla il titolo italiano del film: un qualcosa che etimologicamente ci "cade" davanti e che dobbiamo essere pronti a cogliere, nello spirito del kairos greco, lo sfuggente momento opportuno. Alice e Mathieu non hanno saputo o voluto afferrarlo ed ormai si trovano "Fuori stagione" come recita il titolo originale del film e come rappresentano le immagini della località turistica bretone flagellata dal maltempo. Lucette e Gilberte sono invece riuscite ad afferrare l'occasione, forse anche perché non hanno badato ai contorcimenti mentali degli esseri umani e si sono lasciate andare all’istinto animale, rappresentato dai cinguettii degli uccelli imitati da due attori in occasione dei festeggiamenti del loro matrimonio.