sabato 24 agosto 2024

"Civil War", Alex Garland (2024)

 

Gli Stati Uniti d'America sono in preda ad una guerra fra stati dell'occidente e governo federale. Due fotografe, Jessie Cullen (Cailee Spaeny) giovane alle prime armi, e Lee Smith (Kirsten Dunst) famosa ed esperta fotografa di guerra, e due giornalisti, Joel (Wagner Moura) e Sammy (Stephen McKinley Henderson), decidono di recarsi da New York a Washington D.C. per tentare di ottenere un'intervista in esclusiva dal Presidente. Garland utilizza la narrazione di questo viaggio che si svolge in una terra devastata dalla guerra per sviluppare due tematiche. La più evidente è il rischio cui anche una grande democrazia si espone nel momento in cui si verifica una polarizzazione eccessiva del dibattito politico, con conseguente spaccatura in due del paese, incapacità di dialogo fra i due poli opposti, mutazione dello status dell'avversario politico a nemico da combattere fino alla morte. Tema questo estremamente attuale in un momento in cui la polarizzazione sembra essere il minimo comun denominatore di tante democrazie da entrambe le parti dell'Atlantico. Il secondo tema, di carattere più personale, riguarda il percorso di formazione della giovane Jessie sotto la tutela dei colleghi più anziani.  È interessante in particolare vedere il mutamento che interviene con il tempo nell'atteggiamento delle due fotografe. Lee è inizialmente cinica e concentrata esclusivamente sul lavoro, senza pagare la minima attenzione ai drammi che va ritraendo con la sua macchina fotografica. Jessie al contrario non riesce a non vedere il lato umano, la sofferenza di coloro che fotografa e ne è fortemente scossa. Ma più ci si addentra nel contesto bellico più appare evidente che la sicurezza di Lee è di facciata, si capisce da alcuni flashback che gli orrori che ha fotografato nel corso della sua carriera la hanno segnata profondamente fino a provocare una crisi di panico nel momento cruciale dell'ingresso nella Casa Bianca al seguito dei soldati del Fronte Occidentale. Al contrario Jessie diviene sempre meno emotiva e sempre più concentrata nell'ottenere immagini efficaci senza badare all'aspetto umano. Questa inversione di atteggiamenti giunge al suo apice quando, nei corridoi della Casa Bianca e sotto il fuoco incrociato delle parti in lotta, Lee salva la vita di Jessie gettandola a terra e tutto quello che Jessie sa fare in cambio è fotografare da terra Lee che si accascia colpita alle spalle, senza nemmeno tentare di aiutarla. Al termine della vicenda quindi Jessie è diventata una fotografa di guerra formata, ma questo obiettivo è stato raggiunto a discapito della sua umanità.
Le considerazioni che si possono trarre da questo film sono in definitiva esclusivamente negative? Con un piccolo sforzo si potrebbe trovare un qualcosa di non così negativo, vale a dire l'ambientazione di questa guerra negli Stati Uniti, cioè in un paese che fra il 1861 e il 1865 è stato effettivamente preda di una feroce guerra civile (50.000 morti solo nei tre giorni della battaglia di Gettysburg, un dato impressionante se paragonato ad esempio ai 58.000 morti americani nel corso dei vent'anni della guerra in Vietnam). Ebbene nonostante questo macello la nazione è riuscita a rimettersi in piedi diventando la più potente del mondo. Forse Garland ha voluto dirci che anche in una condizione così disperata ed apparentemente priva di vie d'uscita vi possono essere le risorse per rialzare la testa.

    

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