venerdì 24 aprile 2020

Clint Eastwood: 60 anni di storia del cinema.



Clint Eastwood, con più di 40 film da regista (dal 1971) e 65 da interprete (dal 1959), è una icona del cinema contemporaneo, una trattazione completa della sua filmografia richiederebbe quindi uno o più volumi. Quella che segue è una estrema sintesi dell’argomento che può però rappresentare una utile base per apprezzare la sua produzione.
Per capire le tematiche di Eastwood bisogna rifarsi al suo background: è un conservatore iscritto al partito repubblicano da tempo immemorabile. La sua filosofia politica si richiama più precisamente al libertarianismo, che sottolinea la responsabilità dell’individuo e prevede un intervento statale ridotto al minimo indispensabile. E anche le radici della religione protestante giuocano un ruolo importante nel determinare le sue tematiche cinematografiche.
Da quanto detto si comprende perchè il protagonista abituale dei film di Eastwood sia un uomo solo, un eroe solitario, e ciò è vero anche per i film in cui è stato solo attore, ad esempio nella parte dell’Uomo senza nome nella “Trilogia del dollaro” di Sergio Leone negli anni ’60 ("Per un pugno di dollari", "Per qualche dollaro in più", "Il Buono, il Brutto e il Cattivo") e nella saga dell’ispettore Harry Callaghan degli anni ’70 di cui va ricordato in particolare il primo film del 1971 diretto da Don Siegel, “Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo”.
Questa figura di eroe solitario, per definizione forte o comunque dotato di capacità particolari, ha la missione di proteggere i più deboli; questa filosofia è espressa molto chiaramente in "American Sniper" (2014), la biografia di Chris Kyle (Bradley Cooper), cecchino dell’esercito americano cui era affidata la protezione dei commilitoni in azione in Irak. All’inizio del film Chris da bambino partecipa ad una battuta di caccia al cervo con il padre alla fine della quale quest’ultimo gli dà la seguente lezione di vita che riassume efficacemente il concetto di eroe solitario di Eastwood:”Ci sono tre tipi di persone a questo mondo: le pecore, i lupi e i cani da pastore. Ci sono persone che preferiscono credere che nel mondo il male non esista. E se mai si affacciasse alla loro porta, non saprebbero come proteggersi. Quelle sono le pecore. E poi ci sono i predatori, che usano la violenza per sopraffare i deboli. Quelli sono i lupi. E poi ci sono quelli a cui Dio ha donato la capacità di aggredire e il bisogno incontenibile di difendere il gregge. Questi individui, i cani da pastore, sono una specie rara, nata per affrontare i lupi”. Sottolineiamo in particolare il richiamo al dono di Dio, evidente derivazione del concetto calvinista di Beruf, di vocazione divina tipica della religione protestante, da cui discende la necessità di coltivare ed assecondare questo dono per la gloria del Signore.
Si potrebbe pensare da quanto detto che Eastwood sia un guerrafondaio: non è assolutamente così e lo si vede molto bene sempre in “American Sniper” dove tutto il film esprime l’orrore della guerra. Pensiamo ad esempio ad una delle scene iniziali in cui Chris, appostato sul tetto di una casa di Falluja, deve decidere se sparare a un bambino cui gli sembra che la madre abbia affidato una granata da far esplodere nel battaglione americano affidato alla sua protezione; Eastwood ci fa partecipi, attraverso il concitato colloquio via radio con il comando e in diretta con il collega che lo affianca, del tormento di Chris nel prendere questa tremenda decisione, ma alla fine, coerentemente con la filosofia eastwoodiana, dovrà decidere lui solo. E in "Lettere da Iwo Jima" del 2006, Eastwood associa l’orrore per la carneficina bellica all’elogio dell’eroismo del generale giapponese Kuribaiashi, conscio di non poter vincere la battaglia per difendere l’isola dall’attacco americano, ma al contempo determinato a combattere fino all’ultimo per dare tempo all’esercito giapponese di riorganizzarsi e tentare un’ultima difesa.
Questa figura del “cane da pastore” viene spesso, forse a causa dei numerosi figli avuti da Eastwood, sublimata nella figura del padre in veste di protettore della prole. Come padre biologico lo vediamo in “Potere assoluto” (1997), ma l’esempio migliore lo troviamo nel padre adottivo di "Million Dollar Baby" (4 Oscar nel 2005, in particolare miglior film e miglior regia) in cui l'allenatore Frankie Dunn, assecondando sia la combattiva pugile Maggie (Hilary Swank) in cerca di un coach ma anche di una figura paterna, che il suo intimo desiderio di recuperare un rapporto padre-figlia non riuscito con la figlia biologica, diviene per Maggie un vero padre. Non a caso le dà infatti il nome di combattimento Mo Chuisle che in gaelico significa “Mio Sangue”.
Anche nell’altro film che gli è valso nel 1993 l’Oscar come miglior regista e miglior film, “Gli Spietati”, troviamo la figura del "cane da pastore". Il suo nome è William Munny, un uomo dal passato torbido di rapinatore ed assassino da cui cerca di redimersi prima con il matrimonio e la paternità e poi prendendo nel film le difese di un gruppo di prostitute angariate dai malviventi locali in un paesino del Montana. Nonostante i suoi tentativi di redenzione, Munny non troverà pace, costantemente afflitto dal peso del suo passato. Anche qui emerge la radice protestante del pensiero di Eastwood, cioè la mancanza di una certezza del perdono divino per i propri peccati (il titolo originale è infatti Unforgiven, cioè non perdonato, ben più aderente al film del titolo italiano).
E veniamo in chiusura a "Gran Torino" (2008), un film che rappresenta a mio parere insieme a "Gli Spietati", "Mystic River" e "Million Dollar Baby" il meglio della produzione di Eastwood. Qui ritroviamo il tema dell’individuo nella persona di Walt Kowalski, personaggio forse un po’ autobiografico: conservatore, repubblicano, operaio della Ford in pensione, ex-combattente in Corea, fiero, da buon protestante, dei risultati del suo lavoro rappresentati dalla splendida Gran Torino verde, un modello del 1972 che mantiene con grande cura. Kowalski è innervosito dalla crescente presenza di immigrati nel suo quartiere. Tra l’altro, ed è un dettaglio senz’altro voluto, è di origini polacche, un gruppo etnico che in passato fu soggetto negli Stati Uniti a discriminazioni. In particolare Kowalski è infastidito da una numerosa famiglia di etnia Hmong, i Lor, che viene ad abitare vicino a casa sua. Nel corso del film però si verifica gradualmente in Kowalski un cambiamento importante: dall’atteggiamento iniziale del tipo “Non sopporto i musi gialli”, man mano che in modo fortuito conosce i Lor singolarmente inizia ad apprezzarli, a partecipare alla loro vita, ad affezionarsi a loro fino a difenderli (ed ecco che ricompare la figura del cane da pastore) anche  a costo di sacrificare la propria vita. Questo cambiamento nell’atteggiamento di Kowalski è un aspetto cruciale del film perché sottolinea l’errore drammatico rappresentato dal giudicare l’insieme, in questo caso un gruppo etnico, invece dei singoli componenti, una sorta di sineddoche culturale che è alla radice dell’odio e delle incomprensioni inter-razziali. Non a caso nei campi di concentramento era proibito fraternizzare con i prigionieri proprio per evitare di dar loro una identità umana definita dal nome, dalle paure, emozioni, desideri che la caratterizzano; sotto forma di massa anonima priva di una identità era così più facile adottare nei loro confronti un atteggiamento disumano. 
Questa lezione di vita, soprattutto in tempi di intolleranza come quelli che stiamo vivendo, rende Gran Torino un film importante sul piano non solo cinematografico ma anche educativo.

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