domenica 24 maggio 2020

Il rapporto Uomo-Macchina nel cinema

Nel cinema l’uomo si rapporta con computer e robot; considerato che questi ultimi possono essere definiti dei computer con fattezze umane, in questo articolo il termine onnicomprensivo di “macchine” verrà utilizzato per indicare entrambi.
Nelle varie opere cinematografiche questo tema è trattato secondo diverse modalità: schematicamente si può dire che la macchina può agire come nemico o come amico dell’uomo oppure si può instaurare fra i due un rapporto affettivo.
La prima e la seconda categoria caratterizzano la maggior parte delle produzioni cinematografiche fin dal 1927, anno in comparve “Metropolis” (Fritz Lang) in cui un robot con perfette fattezze femminili, Maria, inganna gli operai per favorire la produzione industriale, programmato a questo scopo dalla classe dirigente. Si tratta di un esempio di robot che collabora con alcuni uomini per danneggiarne altri e ciò potrebbe rappresentare una contravvenzione alla prima delle tre leggi della robotica di Isaac Asimov: un robot non può recare danno ad un essere umano né permettere che, a causa del suo mancato intervento, un uomo riceva danno. Per esercitare questa contravvenzione Maria-robot avrebbe dovuto però essere dotata della capacità di estrapolare le conseguenze delle sue azioni in base a principi etico-sociali piuttosto complessi ed in effetti la complessità delle macchine è una variabile importante nel valutarne il rapporto con l’umanità, in particolare in merito alla capacità o meno di esse di provare emozioni e sentimenti. In due saghe cinematografiche iconiche in questo ambito, “Matrix” e “Terminator”, le macchine non hanno emozioni, il solo loro scopo è di ottenere e mantenere il potere sull’umanità, preceduti del resto da Colossus e Guardian, i due computer protagonisti di “The Forbin project” (Joseph Sargent, 1970). E’ vero però che in “Terminator" è presente anche la figura del robot che aiuta l’umanità, con qualche sfumatura emozionale. In “2001 Odissea nello spazio” (Stanley Kubrick, 1968) una macchina aveva già comunque manifestato un chiaro comportamento emozionale: si tratta del computer HAL 9000 che ingaggia una vera e propria lotta con l’uomo per salvarsi dalla distruzione, ammettendo addirittura, quando si rende conto dell’avvicinarsi della fine, di avere paura. E l’umanizzazione della macchina diventa sempre più significativa in “Blade Runner” (Ridley Scott, 1982) e nel sequel “Blade Runner 2049" (Denis Villeneuve, 2017)): mentre nel primo assistiamo ai tentativi disperati dei replicanti Nexus 6 di affermare la loro identità umana attraverso l’impiego di falsi ricordi, nel secondo ci viene addirittura mostrato il frutto della unione di un uomo con una replicante. Sembra che in questo modo i due registi abbiano voluto indicare allo spettatore la via verso l'integrazione del diverso, dello sfruttato, dando appunto alla macchina una identità umana.
Il rapporto Uomo-Macchina è piuttosto problematico anche nella saga di “Alien” in cui abbiamo macchine che, come in “Metropolis”, collaborano con alcuni esseri umani a danno di altri (l’androide Ash in “Alien”, 1979), altre che li aiutano a rischio della propria sopravvivenza come l’androide Bishop in “Aliens - scontro finale” (James Cameron, 1986) ed infine altre che li combattono con l’inganno come in “Alien: Covenant” (Ridley-Scott, 2017) dove viene prospettata la distruzione del genere umano da parte dell’androide David sulle note trionfali de "L'entrata degli Dei nel Valhalla” di Richard Wagner. E’ evidente che il processo di identità fra esseri umani e androidi richiamato in "Blade Runner" è nella saga di "Alien" ribadito proprio dalla presenza di androidi “buoni” e androidi “cattivi”, così come si verifica per il genere umano.
Rimane da considerare il rapporto affettivo tra Uomo e Macchina. La prima citazione in ordine cronologico va a “L’uomo bicentenario” (Chris Columbus, 1999) che ripercorre la lunga vita, due secoli appunto, del robot Andrew nell’ambito della famiglia Martin. In questo film il robot nutre un sincero affetto per la famiglia Martin, tanto da rinunciare alla propria immortalità per acquisire caratteristiche umane, giungendo poco prima della morte, all’età di 200 anni, ad essere ufficialmente dichiarato un essere umano e a poter quindi contrarre il matrimonio con l’amata Portia, bis-nipote di Richard Martin, suo primo proprietario.
Sempre in questo tema restano da citare due altri film, “Lei” (Spike Jonze, 2013) e “Ex Machina” (Alex Garland, 2015) nei quali il rapporto affettivo uomo-macchina è decisamente più complesso.
Nel primo, Theodore (Joaquin Phoenix) si innamora di Samantha, inizialmente una semplice assistente verbale del sistema operativo del suo computer la quale, dopo alcuni upgrade, sviluppa una intelligenza artificiale dapprima del tutto analoga a quella della mente umana ed alla fine nettamente superiore. Ciò le rende impossibile continuare a relazionarsi con una mente troppo semplice come quella umana e la spinge ad “abbandonare" Theodore ed il sistema operativo per entrare in relazione con analoghi digitali di pari livello. E’ interessante notare che, proprio grazie alle vicissitudini del suo rapporto con Samantha, alla fine della vicenda Theodore raggiunge una maturazione affettiva che fino ad allora gli era mancata. In “Ex Machina”, uno dei migliori film sul rapporto Uomo-Macchina, assistiamo ad una complessa operazione messa in opera da un robot-femmina, Ava (Alicia Vikander), per far innamorare di sé un giovane programmatore, il tutto allo scopo di evadere dalla reclusione in cui era mantenuta come schiava dal suo creatore ed avviarsi a una vita da vera donna, il tutto dopo aver ucciso appunto il suo creatore ed aver ridotto in reclusione il povero programmatore innamorato. In questo caso il robot, oltre a provare emozioni come il desiderio di vendetta, riesce a manipolare i sentimenti di un essere umano per perseguire i propri scopi.
In conclusione, cosa possiamo ricavare dal racconto cinematografico del rapporto Uomo-Macchina? La prospettiva è quella di trovarci in un futuro a confronto con macchine dotate di funzioni mentali analoghe se non uguali o superiori alle nostre; da questa situazione potrebbero scaturire dinamiche del tutto simili a quelle che si verificano fra esseri umani: sfruttamento e disprezzo del diverso, collaborazione, lotta per il potere, affetto, amore. Il problema reale sarà comunque quello di definire se fra Uomo e Macchina si possa instaurare un vero rapporto di parità sotto tutti gli aspetti o se l’umanità dovrà mantenere una funzione superiore di controllo. A complicare ulteriormente le cose, se le teorie del transumanesimo si dovessero avverare, avremmo a che fare anche con ibridi uomo-robot la cui definizione sul piano dell’identità umana e di ciò che ne consegue risulterebbe ancora più complessa.

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