Un'immagine può essere apprezzata per le sue qualità puramente estetiche ("mi piace"), ma in essa esistono anche significati che possono non essere immediatamente colti, soprattutto in un mondo pieno di immagini come quello in cui viviamo. E' quindi necessario prendersi il tempo per entrare nell'immagine (in questo blog in particolare, ma non solo, cinematografica) alla ricerca di questi significati.
venerdì 11 ottobre 2019
“Joker”, Todd Phillips (2019)
Che tipo di formazione ha ricevuto Arthur Fleck, alias Joker, (Joaquin Phoenix) nel corso della sua esistenza? Da bambino (adottato) ha subito violenze fisiche e psicologiche da parte degli amanti della madre, violenze che si ripresentano in età adulta ad opera di soggetti provenienti da strati sociali diversi, sia teppisti che colletti bianchi. I colleghi di lavoro e la sua stessa madre Penny (Frances Conroy) lo ingannano. Infine, egli ritiene di essere stato ingiustamente privato dello status socio-economico che gli deriverebbe da un padre, Thomas Wayne (Brett Cullen), che, a detta della madre, non lo vuole riconoscere. Tutto ciò si svolge in un contesto sociale in progressivo deterioramento, espresso metaforicamente dai mucchi di spazzatura che occupano le strade, in cui la forbice fra abbienti e meno abbienti si divarica sempre di più cosicché vanno aumentando gli individui che si sentono a torto o a ragione emarginati. Come reagisce il nostro Arthur/Joker a tutto ciò? Dapprima con scoppi di riso immotivati e violenti che egli attribuisce ad una forma di malattia mentale. Possiamo in effetti interpretare queste crisi di riso come un meccanismo di fuga dalla realtà, meccanismo che sottende una psicosi maniaco-depressiva ben evidente nel frequente sconfinamento di questo riso nel pianto. In definitiva Joker è un disadattato, un individuo duramente provato dalla vita che non ha saputo/potuto elaborare le sofferenze subite. E questo nonostante l’affetto che gli dimostra la vicina di casa Sophie (Zazie Beetz), probabilmente poiché i traumi fisici e psichici subiti nell’infanzia hanno determinato la irreversibilità del grave disturbo mentale che lo affligge. Egli rappresenta quindi un elemento abnorme per la società; non a caso il suo cognome, Fleck, significa in inglese "piccola macchia", metafora di un elemento estraneo ai meccanismi che regolano il funzionamento della società. E dato che la comparsa di uno squilibrio sociale è un atto di violenza, esso richiede fin dall’antichità di essere neutralizzato con un atto di violenza purificatoria, il Sacrificio, come insegna René Girard nella sua opera del 1972 “La Violenza e il Sacro”. E chi meglio di un clown, espressione della follia e della irrazionalità dionisiache contrapposte al raziocinio apollineo, è adatto a vestire l’abito del sacerdote (la maschera del clown) e compiere questo sacrificio? Joker inaugura la sua reazione violenta uccidendo tre aggressori in metropolitana, ma ciò potrebbe rappresentare semplicemente un atto di legittima difesa. Il punto di svolta nella sua evoluzione avviene quando, resosi conto di essere stato ingannato dalla madre a proposito della figura del padre, egli compie il Sacrificio supremo, la soppressione della Madre Terribile, per dirla con Jung, che inaugura la sua funzione sacerdotale. Eccolo infatti nella prima giornata di sole del film scendere danzando trionfalmente, vestito da clown, quella stessa scala che ha stancamente salito alla fine di tante tristi giornate di lavoro. Ed eccolo con grande sicurezza sopprimere in diretta televisiva lo showman Murray Franklin (Robert De Niro), rappresentante del sistema e colpevole di averlo ridicolizzato nel suo show. Ma non è finita qui: Joker viene eletto per acclamazione capo della rivolta anti-sistema, la rivolta del caos (disordine) contro il cosmo (ordine). Il sistema, è vero, reagisce e Joker viene arrestato, ma la macchina della ribellione sacrificale una volta avviata, come ci dimostrano le orme insanguinate nelle scene finali, non può più essere arrestata.
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