Due sono i temi che l'opera principalmente affronta: la difficile condizione degli immigrati e la complessità del rapporto fra committente ed esecutore di un'opera d'arte cui si correla il tema della libertà di espressione del secondo.
Già all’inizio del film, l'immagine (vedi il poster a fianco) che riproduce la statua della Libertà capovolta ed obliqua così come la vede Toth al suo tanto atteso arrivo negli Stati Uniti ci dice che la vita in America non sarà per lui per nulla facile e così in effetti avviene. Inizialmente accolto con gioia dal cugino Attila (Alessandro Nivola), viene in seguito rapidamente allontanato per un problema di lavoro di cui non era in realtà responsabile e con l'accusa (falsa) di averci voluto provare con la moglie di Attila, Audrey (Emma Laird). In seguito inizia il lungo rapporto con il miliardario Harrison van Buren (Guy Pearce), personaggio molto instabile sul piano psicologico, il quale gli affida la costruzione di una sorta di mausoleo in onore della madre, da adibire alla fruizione del pubblico. I lavori si svolgono con difficoltà per il cozzare degli interessi fra committente (che vuole risparmiare) ed esecutore (che non tollera modifiche al suo progetto). L’apice della crisi viene raggiunto durante un viaggio a Carrara per scegliere del marmo per il mausoleo, nel corso del quale si verifica un episodio (a mio modo di vedere non ben comprensibile) di aggressione sessuale da parte di van Buren nei confronti di Toth. L’episodio, in seguito platealmente sottolineato dalla moglie dell’architetto, Erzsébet (Felicity Jones), di fronte a tutta la famiglia van Buren, determina non solo la chiusura definitiva del rapporto fra i due, ma anche l'inspiegata scomparsa di Harrison.
Il film si chiude con il trionfo professionale di Toth, anziano e in sedia a rotelle, celebrato alla Biennale dell’Architettura di Venezia, dove la nipote Zsófia (Raffey Cassidy) pronuncia un breve discorso esplicativo dei motivi alla base dell’opera di Toth, in particolare influenzata dalla permanenza nel campo di concentramento di Buchenwald. E la chiosa del discorso è una frase che Szófia attribuisce allo zio Non lasciarti ingannare da nessuno Szófia, non importa cosa gli altri cerchino di venderti, è la destinazione che conta non il viaggio. Ma siamo sicuri che sia veramente così? Se il viaggio di Toth non fosse passato da Buchenwald avrebbe potuto egli costruire gli edifici per cui è poi diventato famoso? Il viaggio in realtà è il processo formativo che porta al risultato cioè alla destinazione, quindi la frase deve essere letta al contrario.