venerdì 24 ottobre 2025

"Le città di pianura”, Francesco Sossai (2025)

Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla) vivono perennemente on the road per le vie del Veneto a bordo di una vecchia Jaguar “S-type” un po’ malconcia, ricordo di un passato truffaldino economicamente florido. Il loro girovagare non è però casuale, essi sono alla perenne ricerca per bar, trattorie, night club dell’ultimo bicchiere (una volta lo si definiva "il bicchiere della staffa”) che però non è mai l’ultimo perché ce n'è sempre un altro che lo segue. Del tutto casualmente una  notte incontrano Giulio, giovane e timido studente di Architettura e, nonostante le sue rimostranze, lo caricano in macchina e lo coinvolgono, proprio lui così metodico e ordinato, nella loro vita vagabonda. Nel corso di questa scorribanda Giulio berrà abbondantemente, dormirà molto poco, imparerà a mentire vendendosi come architetto e perderà la verginità.

Il tema principale di questo film è il rimpianto del passato, passato che riaffiora nei racconti di Carlobianchi e Doriano, arricchiti da flash back e venati di nostalgia, racconti che ci fanno capire come l’esigenza dei due sia in definitiva di dimenticare il passato e non pensare al futuro attraverso l’ossessiva ricerca del mitico ultimo bicchiere. Ma aldilà della nostalgia del passato individuale dei due protagonisti, il film è permeato dalla nostalgia generale di un tempo che non c’è più, un tempo in cui la pianura non era costellata dalle cittadine del titolo di cui il regista ci mostra scorrere attraverso i finestrini dell’auto le orrende case. E gli affreschi della villa in cui Giulio si finge architetto mostrano un paesaggio ideale che unisce i monti al mare attraverso una pianura priva di costruzioni. Sempre a questo proposito, quando i tre si recano a visitare il memoriale Brioni, che la memoria involontaria aveva proustianamente evocato alla mente di Giulio alla vista di due cerchi intrecciati lasciati sulla tovaglia da due bicchieri, questi ricorda ai due compagni che Carlo Scarpa, artefice del memoriale, si era fatto seppellire in piedi, come i samurai, su un rialzo per godere della vista della pianura fino al mare, vista che ora appunto gli sarebbe preclusa dalle case di pianura.

Oltre al tema della nostalgia e del rimpianto quest’opera è anche un romanzo di formazione, la formazione di Giulio che alla fine della vicenda, quando sale sul treno per andare a Verona da Giulia, compagna di corso che amava senza mai averlo confessato, ci appare tranquillo e sicuro di sé e possiamo scommettere che le dichiarerà il suo amore senza problemi. È questo un chiaro esempio delle metamorfosi che la vita ci impone attraverso i nostri contatti con l’Altro, proprio quel All that changes you che Isaac Julien ritrae nella sua videoinstallazione attualmente in mostra al palazzo Te di Mantova. E la scena in cui Carlobianchi e Doriano si affiancano al treno dove viaggia Giulio, sbracciandosi dal finestrino per salutarlo, sottolinea la differenza che si è creata fra il loro mondo ed il suo. Egli infatti guarda davanti a sé e pensa con sicurezza al futuro che lo aspetta, senza accorgersi dei due che gli scorrono a fianco urlando il suo nome, chiusi in un presente senza futuro, se non per il santo Graal dell’ultimo bicchiere.    


domenica 19 ottobre 2025

"Un crimine imperfetto”, Franck Dubosc (2024)


Diretto, sceneggiato (insieme a Sarah Kaminski) ed interpretato da Franck Dubosc, questo film rientra nella categoria "humor nero”, alla quale i fratelli Cohen hanno contribuito in modo importante con le loro opere. È però sbagliato, come è stato fatto, paragonare sprezzantemente questo film a quelli di Joel e Ethan. Questi ultimi sono infatti caratterizzati da una marcata (e ben riuscita) sfumatura intellettuale che ne contorna i significati, sfumatura arricchita da aspetti umoristici. Il film di Dubosc è invece tutt’altra cosa poiché di intellettuale non c’è assolutamente niente, ma in effetti non ci vuole essere niente, l'intento dell'opera è semplicemente di divertire lo spettatore (e ci riesce)

Ciò detto, è però vero che di significati di cui parlare, in particolare di tipo etico/legale, questo film sicuramente ne ha. In sintesi, Michel (Franck Dubosc) e Cathy (Laure Calami), due coniugi cui ormai è rimasto poco da dirsi, vivono insieme per abitudine insieme al figlio autistico Dominique detto Dou Dou (Timéo Mahaut) gestendo una coltivazione di abeti in un paesino sperduto nei monti del Giura. Michel, per schivare un grosso orso, colpisce con la sua un’altra automobile ferma che, a causa dell'urto, investe a sua volta il passeggero fermo di fianco alla macchina causandone la morte; il guidatore del mezzo investito, alla vista dell'accaduto, scivola sulla neve, cade e muore trafitto dal ramo di un albero. Nel baule della macchina i due coniugi trovano una borsa contenente una grossa somma di denaro e decidono di tenerla per sé, procedendo ad un (maldestro) tentativo di occultamento dei due cadaveri. La narrazione poi porta alla graduale scoperta da parte del commissario Roland (Benoît Poelvoorde) di come si sono svolti in effetti i fatti ed infine alla condivisione del malloppo fra tutti i personaggi, in pratica quasi tutta la popolazione del paesino. Come ciliegina sulla torta l'happy ending comprende anche una ritrovata armonia coniugale fra Michel e Cathy. Tutto bene e tutti contenti quindi, i cattivi morti e i buoni ricchi e rasserenati, ma non mancano le questioni di cui discutere.

Un primo punto è la responsabilità di Michel nella morte del passeggero. Se è vero che in effetti egli aveva perso il controllo della sua macchina perché si era trovato davanti un orso, pur sempre di omicidio si tratta, anche se colposo. Il guidatore invece ha fatto tutto da solo e si tratta di una morte accidentale con la quale Michel non ha avuto a che fare. Abbiamo poi un altro problema che questa volta coinvolge entrambi i coniugi: occultamento di cadaveri e si potrebbe forse ipotizzare anche il vilipendio di cadaveri, avendoli cosparsi di miele nella speranza che l'orso si rifaccia vivo e li divori, senza peraltro alcun successo. L’omicidio del sicario spedito a recuperare il denaro raffigura un caso di legittima difesa, come pure l’uccisione del commerciante di droga da parte di Dou Dou poiché nel prima caso era a serio rischio la vita del commissario e nel secondo quella di Cathy, si tratta quindi di atti moralmente e legalmente accettabili. Forse il problema più difficile da risolvere è se sia moralmente accettabile tenersi il gruzzolo trovato in macchina (che apprendiamo essere il frutto di commercio di droga ed esseri umani); in altre parole se sia lecito rubare ad un ladro il frutto dei suoi furti. Se non risultassero eredi, non essendovi prove della provenienza illegittima del gruzzolo ed essendo comunque per di più impossibile rendere la refurtiva ai legittimi proprietari, potrebbe essere eticamente accettabile che il denaro vada a chi lo ha trovato. Tanti problemi quindi evoca questo film; forse il modo migliore di risolverli è dare la colpa all'orso che ha innescato la cascata di eventi, come può suggerire il titolo originale "Un Ours dans le Jura". 

lunedì 13 ottobre 2025

“Una battaglia dopo l’altra”, Paul Thomas Anderson (2025)


La pace per Paul Thomas Anderson non esiste. Il mondo che raffigura nel suo film, con una crudezza a tratti eccessiva, è infatti caratterizzato da una eterna guerra fra le forze del Bene (rivoluzionarie e progressiste) e quelle del Male (establishment reazionario). Nel film le battaglie fra queste due forze si susseguono in effetti attraverso le generazioni, dai genitori di Perfidia (Deyana Taylor) a lei stessa ed al compagno Pat (Leonardo Di Caprio) fino alla figlia Charlene (Chase Infiniti). Dalla parte della reazione troneggia invece il capitano Steven J. Lockjaw (Sean Penn in una grande interpretazione), impegnato a combattere immigranti, latini, neri e via dicendo, in pratica tutti coloro che non sono wasp
Ma non tutti i ribelli sono uguali. Perfidia in apparenza personifica la ribellione dura e pura, è lei che decide come muoversi nell’organizzare attentati ed è lei che abbandona la piccola Charlene ed il compagno Pat perché mette se stessa e la lotta al sistema al primo posto. Ma il suo nome nasconde il suo destino: catturata da Lockjaw due volte, la seconda, per sfuggire ad una lunga detenzione, tradisce i compagni del gruppo estremista French 75 di cui fa parte, causando la decimazione del gruppo stesso nonché l’ingresso in clandestinità di Pat e Charlene che cambiano nome rispettivamente in Bob e Willa. Alla fine però, con una giravolta inaspettata scrive alla figlia una lettera struggente di scuse e rimpianti per non aver svolto il suo compito di madre. Pat/Bob è invece un uomo incerto e pieno di dubbi, non del tutto a suo agio nella lotta, ma attentissimo alla figlia Charlene/Willa (il fatto che per buona parte del film indossi una vestaglia da camera già lo identifica come un casalingo) la quale invece è molto simile alla madre, tanto che tiene testa al cattivissimo capitano Lockjaw e ben presto lascia il padre per dedicarsi alla lotta armata.
Il contraltare dei ribelli è il capitano Lockjaw. La traduzione letterale di questo cognome è “serra-mascella” o "mascella serrata” e questo è proprio l’aspetto che Sean Penn dà al personaggio per sottolinearne la durezza nello svolgere i suoi compiti di repressione senza il minimo segno di umanità.
La dura ribelle e il duro repressore però, in occasione del primo arresto di Perfidia, hanno un rapporto sessuale apparentemente coercitivo (Perfidia accetta il rapporto in cambio della libertà), ma resta aperta la possibilità che essa abbia gradito la cosa anche perché un coinvolgimento sessuale fra i due sembra emergere già dal loro primo incontro all’inizio del film. Dal rapporto nasce Charlene/Willa ed è questo il motivo per cui Lockjaw verrà eliminato da un sicario della società segreta di ultradestra “I Pionieri del Natale” cui voleva affiliarsi; fare sesso con persone non bianche e per di più mettere al mondo un meticcio e per di più ancora negare il tutto era infatti considerato da questa società di suprematisti bianchi un atto imperdonabile.
La domanda da porsi in conclusione è se Anderson abbia ritratto un mondo potenzialmente reale o solo immaginario. Purtroppo la prima ipotesi potrebbe essere vera. La situazione politica negli Stati Uniti durante l’attuale presidenza è infatti caratterizzata da una spaccatura nella società sempre più profonda, con l’identificazione degli avversari politici come veri e propri nemici da combattere senza esitazione. E c’è solo da augurarsi che il risultato non sia quello ritratto in un altro recente film, “Civil War” (Alex Garland, 2024), nel quale proprio questa radicalizzazione esita appunto in una vera e propria guerra civile.

venerdì 26 settembre 2025

"Highest 2 Lowest”, Spike Lee (2025)

David King (Denzel Washington) è un produttore musicale newyorkese di grande successo; peraltro, alcune sue recenti scelte finanziarie rischiano di mettere in pericolo l’impero economico che ha costruito dal nulla, provenendo dai ghetti del Bronx. A queste difficoltà si aggiunge il rapimento del figlio Trey (Aubrey Joseph) per il quale viene chiesto un riscatto molto sostanzioso; ma i rapitori hanno preso per errore un amico di Trey, Kyle (Elijah Wright), figlio a sua volta di uno strettissimo collaboratore ed amico di David, Paul Cristopher (Jeffrey Wright). E qui nasce il problema su cui fa principalmente perno il film: deve David pagare per il figlio dell’amico rischiando il disastro economico poiché i suoi creditori esigono il rientro di una cifra molto elevata entro due sole settimane? O può rifiutarsi di pagare mettendo a rischio la vita del figlio di un caro amico e rischiando anche di essere crocifisso sui social con conseguenze potenzialmente disastrose per il suo lavoro?
Indubbiamente Spike Lee ha seguito nella sua carriera una traiettoria di cui questo film rappresenta un nuovo punto, dalle prime opere come “Fai la cosa giusta” (1989) caratterizzate da una visione del mondo in cui esistono solo il bianco e il nero (sia metaforicamente che letteralmente) ad una visione ironica se non addirittura umoristica del problema razziale, come in “Blackkklansman” (2018) per approdare a questo film in cui il suo interesse segue una traccia che si distacca da quelle abituali su razzismo, droga, violenza. 
Tornando alla trama, per quanto riguarda il dilemma etico se pagare o non pagare il riscatto per Kyle, David lo risolve seguendo il cuore, e quindi pagando, dopodiché, in perfetto American style, armi in pugno e lasciata da parte la polizia (che peraltro ignora la traccia da lui proposta) va a caccia del rapitore insieme all’amico Paul. La caccia si risolve positivamente ed il rapitore risulta essere un giovane rapper, in arte Yung Felon (Rakim Atelaston Mayers), arrabbiato per non essere mai riuscito a raggiungere David e proporgli le sue creazioni musicali. Da qui il titolo del film: David è al più alto (highest) gradino della scala nel mondo della musica, mentre Felon è al più basso (lowest).
Ed eccoci alle conclusioni: 1) Il rapitore finisce in galera, ma lo vediamo osannato da una folla di  giovani all’ingresso in tribunale, da cui si ricava che grande è la confusione sotto il cielo (Mao Tse Tung) per quanto riguarda i valori morali, 2) David decide di ripartire con una nuova etichetta musicale ed ingaggia allo scopo una cantante amica di Trey, da cui si ricava che se sei amico della persona giusta entri nello show business, se non conosci nessuno rimani invece in cantina, se ti va bene, o in galera, come il rapitore, se ti va male. Emerge quindi con chiarezza il netto divario che Spike Lee evidenzia fra chi può e chi non può (il tutto indipendentemente dal colore della pelle), dimostrandoci come in un apparente happy ending si nasconda fra le righe molta amarezza.
 

martedì 16 settembre 2025

"The Brutalist", Brady Corbet (2024)

Il protagonista del film, l'architetto László Thot (Adrien Brody), non è mai esistito, non stiamo quindi parlando di un biopic ma di un'opera di fiction vera e propria. Peraltro non mancano gli esempi di architetti ebrei fuggiti dalla Germania in America negli anni '40, un nome per tutti quello di Marcel Breuer, allievo di Walter Gropius e realizzatore del museo Whitney di New York e, non a caso, della sedia Wassily che vediamo nel film come creazione di Toth.

Due sono i temi che l'opera principalmente affronta: la difficile condizione degli immigrati e la complessità del rapporto fra committente ed esecutore di un'opera d'arte cui si correla il tema della libertà di espressione del secondo. 

Già all’inizio del film, l'immagine (vedi il poster a fianco) che riproduce la statua della Libertà capovolta ed obliqua così come la vede Toth al suo tanto atteso arrivo negli Stati Uniti ci dice che la vita in America non sarà per lui per nulla facile e così in effetti avviene. Inizialmente accolto con gioia dal cugino Attila (Alessandro Nivola), viene in seguito rapidamente allontanato per un problema di lavoro di cui non era in realtà responsabile e con l'accusa (falsa) di averci voluto provare con la moglie di Attila, Audrey (Emma Laird). In seguito inizia il lungo rapporto con il miliardario Harrison van Buren (Guy Pearce), personaggio molto instabile sul piano psicologico, il quale gli affida la costruzione di una sorta di mausoleo in onore della madre, da adibire alla fruizione del pubblico. I lavori si svolgono con difficoltà per il cozzare degli interessi fra committente (che vuole risparmiare) ed esecutore (che non tollera modifiche al suo progetto). L’apice della crisi viene raggiunto durante un viaggio a Carrara per scegliere del marmo per il mausoleo, nel corso del quale si verifica un episodio (a mio modo di vedere non ben comprensibile) di aggressione sessuale da parte di van Buren nei confronti di Toth. L’episodio, in seguito platealmente sottolineato dalla moglie dell’architetto, Erzsébet (Felicity Jones), di fronte a tutta la famiglia van Buren, determina non solo la chiusura definitiva del rapporto fra i due, ma anche l'inspiegata scomparsa di Harrison. 

Il film si chiude con il trionfo professionale di Toth, anziano e in sedia a rotelle, celebrato alla Biennale dell’Architettura di Venezia, dove la nipote Zsófia (Raffey Cassidy) pronuncia un breve discorso esplicativo dei motivi alla base dell’opera di Toth, in particolare influenzata dalla permanenza nel campo di concentramento di Buchenwald. E la chiosa del discorso è una frase che Szófia attribuisce allo zio Non lasciarti ingannare da nessuno Szófia, non importa cosa gli altri cerchino di venderti, è la destinazione che conta non il viaggio. Ma siamo sicuri che sia veramente così? Se il viaggio di Toth non fosse passato da Buchenwald avrebbe potuto egli costruire gli edifici per cui è poi diventato famoso? Il viaggio in realtà è il processo formativo che porta al risultato cioè alla destinazione, quindi la frase deve essere letta al contrario.

venerdì 12 settembre 2025

“Itaca - il Ritorno”, Uberto Pasolini (2025)

Oggetto di questo film sono gli ultimi 12 dei 24 libri dell’Odissea, dedicati al ritorno di Ulisse in patria dopo vent’anni di assenza a causa della guerra di Troia. La trama è ben nota e non vale la pena di soffermarvisi, ciò che è interessante nel film è l’analisi psicologica che il regista fa, operando alcune modifiche rispetto al testo omerico, dei tre principali personaggi: Ulisse (Ralph Fiennes), Penelope (Juliette Binoche) e il loro figlio Telemaco (Charlie Plummer).

Ulisse si presenta stanco e vecchio, sembra quasi del tutto privo della volontà di riprendere il suo posto come re dell’isola, una carica minacciata, come lo informa il pastore Eumeo (Claudio Santamaria), dalle pretese dei Proci. Certo, dopo essere passato attraverso le avventure menzionate dal V al XII libro dell’Odissea non lo si può biasimare, ma probabilmente c’è qualcosa di più della stanchezza, c’è il timore di non avere la capacità morale e fisica di svolgere questo compito, come se la guerra a Troia ed il ritorno in patria avessero esaurito una volta per tutte le sue risorse. Ed in effetti prima di decidere di iniziare l’impresa passa del tempo; probabilmente lo stimolo decisivo ad entrare in azione gli viene dall’assistere allo spettacolo dei Proci che bivaccano nel palazzo come volgari invasori, pretendendo in modo piò o meno aggressivo la mano di Penelope. 

Penelope, appunto; per tutta la narrazione la vediamo in preda a un dubbio: continuare ad attendere il marito, nella parte della sposa fedele, o accettare le profferte di matrimonio di qualcuno dei Proci, sacrificando la fedeltà coniugale al benessere di Itaca? L’isola, in assenza di un re, era in effetti andata incontro ad un progressivo e grave decadimento. Come noto, grazie al trucco del telaio, ella prenderà tempo, ma l’ansia di non sapere per certo quale sia il ruolo da scegliere è in lei ben evidente, anche perché il figlio Telemaco insiste affinché sposi uno dei Proci e riporti Itaca al suo splendore.

Telemaco in effetti non nasconde un'avversione nei confronti della figura del padre, lo accusa infatti apertamente nei colloqui con la madre di essersi assentato per vent’anni per combattere una guerra inutile, portando con sé la miglior gioventù dell’isola a morire a Troia. Tutto ciò fa pensare che Telemaco fosse preda di un complesso di Edipo e che volesse quindi far scomparire la figura del padre, far sposare alla madre un pretendente che certo non avrebbe mai amato e tenere quindi per sé tutto il suo affetto.

Ed alla fine, come noto, Ulisse si svela, ma come si svela? Da un lato dimostrando la sua prestanza ed abilità nel combattimento quando riesce a tendere il suo arco e a far passare la freccia attraverso l’occhiello di 12 asce in serie e dall’altro descrivendo correttamente a Penelope il talamo nuziale. Il messaggio sottinteso è quindi chiaro: il re, per essere tale, deve essere capace sia di combattere che di procreare, doti che gli permettono di perseguire il suo destino di mantenere e far prosperare la propria terra.

giovedì 4 settembre 2025

"A complete Unknown”, James Mangold (2024)

Robert Zimmerman, alias Bob Dylan, è il "Completo Sconosciuto" del titolo di questo film. Perché questo titolo, tratto da una strofa della celeberrima "Like a Rolling Stone"? Lo capiamo nel corso della narrazione, assistendo alle multiple e variabili sfaccettature della personalità di Dylan (Timothée Chalamet). All’inizio lo vediamo giungere a New York da Minneapolis con uno zaino e una chitarra al solo scopo di conoscere il suo idolo, Woody Guthrie (Scoot McNairy) gravemente malato in un letto di ospedale. Le cose poi cambiano poiché lo vediamo dimostrare scarso interesse ed empatia per chi lo circonda, in particolare per le donne con cui intrattiene relazioni e soprattutto con Sylvie (Elle Fanning) ed infine assume prese di posizione autoreferenziali come la decisione di esibirsi nel 1965 con una chitarra elettrica al festival di Newport, tempio della tradizionale musica folk, creando grande scandalo. Da questo punto di vista è illuminante il breve colloquio che si svolge fra Dylan e Bobby Neuwirth (Will Harrison), anch'egli musicista, in ascensore all'uscita da un evento privato dove Bob si era brevemente esibito. Qui egli commenta che ognuno dei presenti all'evento avrebbe voluto che lui fosse qualcun altro e che si f*****o e lo lascino essere, con un giuoco di parole intraducibile: "let me be" significa infatti sia "lasciarmi stare" che "lasciarmi essere", al che Neuwirth ribatte e chi dovrebbero lasciarti essere? e Dylan risponde non lo so, ma loro senz'altro lo sanno. Ecco che quindi Dylan risulta uno sconosciuto anche a se stesso, addossando ai suoi fan la scelta di decidere chi egli sia. E la peculiarità del carattere di Dylan è ulteriormente esaltata dal costante raffronto con quello di Pete Seeger (Edward Norton) che rimane sempre uguale a se stesso nella vita, sia sul piano artistico e di impegno sociale che sul piano famigliare. 
Todd Haynes nel 2007 aveva già descritto Dylan nel film "Io non sono qui” attraverso le vicende di sei personaggi che ne illustrano le sfaccettature del carattere e dell'opera, creando un biopic molto originale, contrariamente al presente che è costruito secondo i canoni abituali per questo tipo di narrazione. E forse non è un caso che entrambi i film abbiano un titolo in negativo (non sono qui e non conosciuto) proprio a sottolineare la difficoltà di descrivere Dylan. 
Per persone della mia età questo film è molto godibile anche solo per la colonna sonora che ci riporta ai tempi della nostra gioventù, ma è anche fonte di sconforto se consideriamo che, nonostante le energie spese allora con grande ottimismo per cambiare in meglio il mondo, con buona pace di Voltaire ci troviamo oggi a vivere in un mondo ancora più stupido e crudele di allora.