giovedì 6 marzo 2025

"A real pain", Jesse Eisenberg (2024)

Il dolore ("pain") è il nucleo centrale della narrazione in questo film, un dolore evocato spesso e con toni e coloriture emotive diverse. Va inoltre definito quale sia il vero ("real") dolore.

David (Jesse Eisenberg) e Benji (Kieran Culkin), primi cugini ebrei americani, sono totalmente agli antipodi: mentre il primo è tanto metodico da sconfinare nella nevrosi (e in effetti assume farmaci per un problema ossessivo-compulsivo) il secondo sembra vivere la vita in modo spensierato, senza orari e programmi e con zero organizzazione. Peraltro, questa coppia improbabile è saldamente unita grazie ai legami famigliari ed anche grazie al fatto che l'uno vorrebbe essere un po' come l'altro e viceversa. Il loro legame è quindi dovuto anche ad una sorta di invidia, intesa nel senso buono del termine. Quando la loro adorata nonna Dory muore, lascia un gruzzoletto da destinare loro per un viaggio della memoria in Polonia, nei luoghi di origine e di sofferenza della famiglia e nel corso di questo viaggio, intrapreso insieme ad un piccolo gruppo di persone accomunate da storie famigliari dolorose, emergono le diverse sensibilità individuali nei confronti del dolore. Benji ad esempio non sopporta che parte del viaggio in Polonia si svolga in vagoni di prima classe poiché i suoi famigliari avevano percorso gli stessi itinerari stipati in carri-bestiame senza cibo né acqua. Ecco che il dolore morale e fisico dei deportati si traduce nel dolore morale di Benji. E ancora, egli trova intollerabile che nel cimitero di Lublino, di fronte alla più vecchia lapide mortuaria della Polonia la guida del gruppo si perda in descrizioni storiche invece di raccogliersi nella dolorosa memoria di chi vi è sepolto, facendone testimonianza con un tocco materiale: un sasso posato sulla lapide in segno di ricordo. E che dire di David? Dietro la sua nevrosi si cela un malessere che emerge con chiarezza durante un monologo in presenza dei compagni di viaggio. In questa occasione egli riconosce le sue angosce e preoccupazioni legate al mantenere il lavoro, far crescere il figlio e tenere unita la famiglia, il tutto in una realtà complessa come quella di New York. Queste angosce sono per lui ancor più dolorose e difficili da tollerare e da esprimere perché gli sembrano cose da nulla se paragonate a quanto hanno sofferto i suoi famigliari nei campi di sterminio. E un'altra fonte di dolore per David è proprio Benji che, nonostante l'apparente allegria, sei mesi prima aveva tentato il suicidio. A David sembra ingiusto avere un lavoro, una famiglia ed una casa mentre il cugino non ha lavoro, vive ancora con la madre e arriva a tentare di togliersi la vita. Questo sentimento di ingiustizia ricorda il dolore di alcuni sopravvissuti alla Shoah che ritenevano ingiusto essere ancora vivi mentre tanti loro amici e parenti erano deceduti nei campi di sterminio. 
Volendo fare un bilancio di sofferenza fra David e Benji, ne emerge che il secondo indubbiamente soffre di più, come dimostra anche metaforicamente il grosso zaino che si porta sulle spalle paragonato al bagaglio agevole di David. Un'ulteriore conferma la troviamo nella sequenza finale. David e Benji sono sbarcati dall'aereo che li ha riportati a New York, David invita Benji a cena ma lui declina l'invito perchè, dice, mi piace stare qui, è pieno di gente fuori di testa. Segue un lungo primo piano del volto di Benji che guarda la gente seduta nella sala d'aspetto intorno a lui, cercando a tratti di abbozzare un sorriso che subito si spegne. Questa sequenza, che da sola merita il film, ci fa capire quale è il vero dolore, quello di vivere. 

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