"In the Mood for Love" è un film fuori tempo (in senso positivo) sia ora che 25 anni fa quando uscì nelle sale, un film che si basa più sul non detto che sul detto, che predilige sia inquadrature insolite che possono ricordare quelle predilette da Ozu sia il soffermarsi su dettagli apparentemente privi di significato (un paio di ciabattine, la mano di Chan sullo stipite della porta) nello stile di Rohmer. Una cinematografia insomma che non esiste più, ma che possiamo ancora apprezzare e per fortuna non in modo sfumato e indistinto.
Un'immagine può essere apprezzata per le sue qualità puramente estetiche ("mi piace"), ma in essa esistono anche significati che possono non essere immediatamente colti, soprattutto in un mondo pieno di immagini come quello in cui viviamo. E' quindi necessario prendersi il tempo per entrare nell'immagine (in questo blog in particolare, ma non solo, cinematografica) alla ricerca di questi significati.
sabato 22 febbraio 2025
"In the Mood for Love", Wong Kar-wai (2000)
La Signora Chan (Maggie Cheung) ed il Signor Chow (Tony Leung Chiu-wai) fanno casualmente conoscenza avendo affittato a Hong Kong con i rispettivi coniugi due stanze contigue nello stesso edificio. I coniugi intrecciano una relazione sentimentale di cui i due protagonisti si accorgono nel corso della narrazione; ne deriva lo sviluppo di una relazione fra i due la cui natura non è facile da definire. Verrebbe da pensare che il tutto preluda allo sviluppo di un rapporto sentimentale, ma con grande abilità il regista fa sì che questa ipotesi rimanga non provata; a volte si ha anche la sensazione che Chan e Chow provino una sorta di vergogna per l'attrazione che provano l'uno per l'altra poichè è conseguenza di un atto illecito, il tradimento operato dai rispettivi coniugi (il poster a fianco è molto eloquente al riguardo). Seguiamo quindi lo svolgersi di questo rapporto, facilitato dalla condivisione di interessi come la lettura e la scrittura, il tutto descritto con grande delicatezza fra sguardi e silenzi, in contrasto con la confusione che regna nell'edificio dove i due vivono. Un dettaglio di non poco conto sul piano estetico, ma non solo, è rappresentato dalla bellezza ed eleganza dei Cheongsam indossati dalla protagonista che contrastano nettamente con lo squallore del quartiere e dell'edificio in cui si svolge la narrazione, come per sottolineare ulteriormente la delicatezza della storia di Chan e Chow. Verso la fine del film i due protagonisti attraversano una serie di vicende che in un modo o nell’altro impediscono loro di incontrarsi, il tutto in modo casuale, come se il regista volesse introdurre nella vicenda anche la mano del destino che scompiglia le carte in modo imprevedibile. Nel finale Chow si reca in Cambogia dove lo vediamo visitare i templi di Angkor-Wat. In questo sito che evoca il passato, una voce narrante esprime i suoi pensieri: Egli ricorda quegli anni svaniti. Come se visto attraverso una finestra impolverata, il passato è qualcosa che egli poteva vedere ma non toccare. E tutto ciò che vede è sfumato e indistinto”. È da questa bella metafora del passato che emerge nella narrazione un aspetto nuovo, vale a dire l'irrimediabilità di ciò che è avvenuto (vedere ma non toccare), l'impossibilità di correggere azioni o omissioni compiute, un rimpianto dei più gravi fra quelli che affliggono gli esseri umani.
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