mercoledì 19 marzo 2025

"L'orto americano", Pupi Avanti (2024)

In che categoria si può inquadrare quest'ultimo film di Pupi Avati, tratto dal suo ultimo omonimo romanzo? Lo si vede inserito nell'ambito dei "giallo, thriller, horror" e non si può dire che si tratti di una etichettatura scorretta, visto che certo la suspense non manca. C'è però in questo film ben di più; infatti, oltre all'horror di "La casa con le finestre che ridono"(1976), in questo film Avati ritorna su un altro tema, già affrontato in "Lei mi parla ancora" (2021): il rapporto fra il mondo dei vivi e quello dei morti. 
Protagonista del film è un giovane scrittore (Filippo Scotti) di cui non ci viene reso noto il nome, forse intendendo con questo significare che potrebbe essere ognuno di noi, il quale si innamora perdutamente di un'ausiliaria americana fugacemente vista a Bologna nell'immediato dopoguerra. Trasferitosi per un breve periodo negli Stati Uniti per trovare ispirazione per un nuovo romanzo, si trova come vicina di casa un'anziana signora (Rita Tushingam) che non si rassegna all'idea che la figlia Barbara, ausiliaria dell'esercito dalle cui foto lo scrittore capisce trattarsi della giovane donna vista a Bologna, sia stata data per morta durante la guerra nella zona di Argenta. Iniziamo a questo punto a conoscere meglio lo scrittore ed in particolare la sua capacità di confrontarsi con i morti. Lo vediamo infatti chiedere consiglio ai morti di famiglia le cui fotografie si porta sempre appresso in un album. Inoltre ode lamenti provenienti dall'orto che separa la sua casa da quella dell'anziana signora e scopre che questi provengono da un vaso di vetro ripieno di un liquido opaco, che non riesce ad aprire, dotato di un'etichetta di difficile interpretazione poiché vi sono mescolati versi dell'Epinicio V di Bacchilide con quella che risulta alla fine essere una descrizione dell'effettivo contenuto, vale a dire un verosimile frammento di un corpo umano. Costretto a tornare in Italia per evitare il carcere a causa della violazione di proprietà privata, lo scrittore inizia la sua ricerca di Barbara che lo porta a seguire il processo imbastito contro Glauco (Armando De Ceccon) per l'omicidio di tre giovani donne, e forse anche di Barbara, processo che si concluderà con un'ingiusta sentenza di morte. La sua ricerca, attraverso varie peripezie, lo porterà alla fine in una casa nel delta del Po, dove gli è stato detto esservi una donna che potrebbe sapergli dare notizie di Barbara. E qui il film bruscamente si chiude.
Nella vita del giovane scrittore vi è stato un ricovero in ospedale psichiatrico da cui si potrebbe desumere che egli sia uno dei cosiddetti idiot savant, persone con alterato stato mentale in grado  di vedere e capire cose che ai cosiddetti normali sono interdette, come ad esempio parlare con i morti. Ma siamo sicuri che il ricovero in ospedale psichiatrico fosse giustificato? Forse no se consideriamo che il secondo ricovero di questo tipo cui viene sottoposto lo scrittore è motivato dall'avere egli riferito alla polizia eventi realmente avvenuti cui però nessuno crede. Avati ci chiede quindi di valutare con attenzione prima di applicare etichette di integrità o malattia mentale, come anche di innocenza o colpevolezza. Pensiamo infatti alle popolane che applaudono il plotone militare dopo l'ingiusta fucilazione di Glauco, sullo stile delle tricoteuses della rivoluzione francese, manifestazione che ricorda con chiarezza il sollievo per l'uccisione del. capro espiatorio, non importa se colpevole o innocente, che, come ricorda René Girard, riporta l'equilibrio e quindi il sollievo, all'interno del gruppo sociale. Nel finale assistiamo ad un ulteriore richiamo al rapporto fra mondo dei vivi e mondo dei morti: la casa nel delta del Po si trova infatti in una sorta di mondo di mezzo, là dove le acque del fiume si mescolano con quelle del mare e "gli aironi parlano con gli angeli", a significare appunto ancora una volta la contiguità fra vivi e morti. I film si chiude a questo punto lasciandoci due messaggi che riassumono in metafora quella che Edgar Morin ha definito l'aventure de la vie: incertezza (non sapremo mai se Barbara in effetti sia viva e si trovi in quella casa) e minaccia, nelle vesti di un ghignante Emilio (Roberto De Francesco), fratello del povero Glauco ingiustamente fucilato. Con questo finale Avati ci dice infatti che nella vita non si può mai esser certi di trovare ciò che cerchiamo ed al contempo che siamo perennemente sotto la spada di Damocle di una minaccia che ci attende dietro l'angolo.  
 

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