Quest’ultima opera di Kaurismäki tocca numerosi ed importanti temi quali solitudine, povertà, guerra, ingiustizia sociale, alcolismo con l’abituale apparente distacco, apparente perché egli riesce in realtà ad evocare nello spettatore empatia per i protagonisti, cosa che altri registi “distaccati”, come ad esempio Michael Haneke, non riescono ad evocare, limitandosi a svolgere il loro compito come un entomologo guarda gli insetti al microscopio. Vediamo ora di seguito quali sono alcuni dei messaggi che si possono ricavare da questo film.
La vicenda di Ansa (Alma Pöysti) e Holappa (Jussi Vatanen) sembra svolgersi fuori dal tempo: la radio trasmette notiziari sulla guerra in Ucraina, in particolare sui bombardamenti di Mariupol del 2022, ma nel bar in cui Ansa trova lavoro il calendario è del 2024, mentre al cinema dove lei va insieme a Holappa sono affissi, come se fossero in programmazione, manifesti di film di 30-40 anni fa. Infine, in uno dei bar in cui si svolge la narrazione vediamo in azione un juke-box Würlitzer che ormai rappresenta un oggetto di antiquariato. Per qual motivo il regista svolge il suo racconto nel contesto di questi salti temporali? Una possibile spiegazione è che in questo modo egli abbia voluto dirci che solitudine, povertà, ingiustizia sociale ed alcolismo, che vediamo sfilare sullo sfondo della follia della guerra trasmessa dalla radio, sono eterni e prevedibilmente non destinati a migliorare.
Perché Holappa perde il biglietto con l’indirizzo di Ansa al loro primo appuntamento ed inoltre verso la fine, uscendo di casa per correre da lei, viene investito da un tram? Così Kaurismäki ci insegna che possiamo fare tutto quello che vogliamo, ma quando il Fato ci mette lo zampino tutto va a gambe all’aria, nonostante la cura che possiamo aver messo nei nostri preparativi, come ha fatto Holappa prendendo in prestito una giacca per correre da Ansa. E se non ci si mette di mezzo il Fato ci pensa qualcuno, come l’occhiuto sorvegliante del supermercato dove lavorava Ansa il quale ne provoca l’ingiusto licenziamento dichiarando “Ho obbedito agli ordini” proprio come i dirigenti nazisti al processo di Norimberga, una motivazione la cui validità fu fermamente negata da Hanna Arendt quando scrisse “Nessuno ha il diritto di obbedire”.
Un’ultima annotazione in merito al titolo del film: in originale Kuolleet lehdet (Foglie morte), in italiano “Foglie al vento", in inglese Fallen leaves (Foglie cadute). Quale di questi titoli meglio si adatta al film? “Foglie al vento” sottolinea l’imprevedibilità degli eventi umani, dovuta appunto al Fato, che ci lascia in preda al vento come la piuma di “Forrest Gump” (Robert Zemeckis, 1994) e le nuvole in viaggio dell’omonimo film del 1996, sempre di Kaurismäki. Ma “Foglie morte” rispecchia il pessimismo del regista e risuona nelle immagini dei morti viventi che si trascinano nel film “I Morti non muoiono” (Jim Jarmusch, 2019) che Ansa e Holappa vedono al loro primo appuntamento. Anche loro due si trascinano passivamente nelle loro vite tristi e monotone, ma rispetto agli zombi almeno riescono a trovare un po’ di consolazione, lei nella compagnia di un cane e lui nella bottiglia.
Alla fine della narrazione non possiamo forse sperare in uno spiraglio di ottimismo quando vediamo i due incamminarsi su un prato verso un orizzonte luminoso? Temo di no. Non può infatti essere un caso che il povero Holappa arranchi faticosamente sulle stampelle per stare dietro ad Ansa ed al suo cane che lo precedono; in questo modo il regista ci vuol dire che l’unione fra i due sarà meno solida di quella fra Ansa ed il cane.
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