domenica 31 dicembre 2023

“Ferrari”, Michael Mann (2023)

Michael Mann ama giuocare con i colori, pensiamo ad esempio alla buia notte infinita di “Collateral” (2004) che fa da sfondo alla spietatezza del killer o al contrasto fra la luce abbagliante del sole che illumina la vita di tutti i giorni e la buia notte che vede svolgersi il malaffare in “Miami Vice” (2006). Ed anche in "Ferrari” il colore ha un ruolo importante: il rosso delle automobili ben esprime la passione che cova in Enzo Ferrari e che egli vuole a tutti i costi trasmettere ai suoi piloti e il nero della notte in cui partono i piloti della “Mille Miglia”, preludio di una tragedia.

Il film di Mann abbraccia un periodo di due mesi del 1957, forse il peggiore della tormentata vita di Enzo Ferrari, un periodo che inizia e finisce con la morte: inizia con quella di Eugenio Castellotti all’autodromo di Modena il 14 marzo e finisce con quella di 11 persone, fra cui Alfonso de Portago (Gabriel Leone), il suo co-pilota e 9 spettatori di cui 5 bambini, il 12 maggio durante la “Mille Miglia”.  Ma non finisce qui, questi mesi terribili erano stati preceduti nel 1956 dal più terribile dei drammi: la morte (sì, ancora lei) per distrofia muscolare del figlio Dino di 24 anni. La morte è quindi protagonista di quest’opera; oltre a quanto detto la sentiamo infatti ripetutamente menzionare da Ferrari quando ricorda gli amici Campari e Borzacchini morti a Monza nel 1933 e quando, durante una conversazione a tavola con i suoi piloti, ricorda loro la necessità di non considerare il rischio di morire durante una corsa e quindi di non frenare mai prima che lo faccia l'avversario. Ragionamento duro e spietato questo, ma la spietatezza sfuma poi nell’umanità quando Ferrari a chi, all’indomani della fatale "Mille Miglia", gli ricorda che il pensiero della morte è costantemente presente nella mente degli esseri umani, egli risponde che sì, è vero, ma ciò non vale per i bambini. Ed il pensiero dei bambini ci riporta al Ferrari-uomo, al suo vivere un’esistenza divisa fra la moglie Laura (Penélope Cruz) e l’amante Lina (Shailene Woodley) che gli ha dato il piccolo Piero (Giuseppe Festinese), un’esistenza che, oltre alle inevitabili crisi di una simile situazione famigliare, è tormentata anche dal pensiero del possibile disastro finanziario che minacciava la Ferrari in quel periodo. Se pensiamo alla filmografia di Mann non possiamo non ricordare a questo proposito il personaggio di un altro suo film, anch'egli tormentato ed in preda ad una crisi esistenziale che travolse lavoro e vita famigliare, il Jeffrey Wigand (Russel Crowe) di “Insider” (1999). Se poi consideriamo anche i protagonisti di “Heat” (1995), anch’essi tormentati dalle scelte imposte da vite private complesse e lavori rischiosi, arriviamo al nocciolo della filosofia filmografica di Mann, e cioè quello di rappresentare con esempi epici, adatti al mezzo cinematografico, e in una prospettiva decisamente pessimista le difficoltà che la vita impone in definitiva a tutti noi esseri umani.

Un’ultima considerazione personale. Sentir menzionare i nomi dei piloti di allora e vederli sfidare la morte in maglietta a maniche corte con una sigaretta in bocca, usando in scioltezza “doppietta” e “punta-tacco” e ricercando la miglior traiettoria con continue correzioni dello sterzo, riporta alla mente, non senza emozione, il romanticismo di quell'epoca.



 

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