martedì 5 settembre 2023

"Oppenheimer", Christopher Nolan (2023)

L'analisi di questo film può essere effettuata secondo diverse linee: la figura di Oppenheimer come uomo, la sua attività di scienziato, le ricadute di questa sul mondo, i suoi rapporti con la politica. Nella narrazione questi aspetti sono strettamente correlati, grazie anche all'impiego di piani temporali intersecantisi, secondo lo stile del regista, per cui l'analisi può svolgersi in modo unitario.

Robert J. Oppenheimer (Cillian Murphy) è al di fuori di ogni dubbio un genio della fisica teorica; non è certo un genio schivo, timido e misantropo, anzi riconosce senza problemi il proprio valore, apprezza la socialità, non disdegna i rapporti con l'altro sesso ed ama anche ricorrere alla battuta sarcastica, il che si ritorcerà contro di lui, come vedremo, a proposito dei rapporti con il presidente della commissione per l'energia atomica Lewis Strauss (Robert Downey jr). Dopo questa descrizione si potrebbe pensare a questo scienziato come a un uomo freddo, calcolatore, senza troppi scrupoli ed invece così non è: il suicidio (o omicidio? nel film appare fugacemente una mano guantata di nero che le spinge la testa sott’acqua) della sua amante Jean Tatlock (Florence Pugh), membro del partito comunista, lo segna profondamente riempiendolo di dubbi angosciosi in merito a sue possibili responsabilità morali nella determinazione dell’evento. Ma di scrupoli Oppenheimer se ne pone in particolare per quanto attiene alla sua creatura, la bomba atomica. Scrupoli che egli ha sempre nutrito, in particolare in merito alla possibilità che la deflagrazione della bomba possa creare una reazione a catena inarrestabile che finisca per distruggere il pianeta (non a caso vediamo fugacemente fra le sue mani in una inquadratura il poema di T.S. Eliot The Wasteland), ma che diventano sempre più assillanti man mano che si avvicina il completamento dell’arma. E ciononostante, bizzarrie della natura umana, alla vigilia della prova cruciale con il prototipo di bomba, parlando con il generale Groves (Matt Damon) della probabilità del verificarsi di questa letale reazione a catena nel corso della prova, egli afferma con noncuranza che le probabilità che ciò avvenga sono "quasi zero" cioè che è "quasi" impossibile che l'esperimento distrugga la Terra. Questo argomento viene comunque da lui seriamente affrontato nel corso di un dialogo con Albert Einstein (Tom Conti) a Princeton. Alla preoccupazione di Oppenheimer per il possibile scatenamento di una reazione a catena inarrestabile Einstein risponde “E allora?”. E la risposta di Oppenheimer, che chiude il film, è agghiacciante “Credo che lo abbiamo già fatto” alludendo non tanto ai possibili esiti dell'esplosione, ma alla proliferazione di armi nucleari che ad essa sarebbe seguita, in un effetto a catena senza fine, fra le nazioni del mondo.

In chiusura vi è un aspetto che vale la pena sollevare e cioè il peso dell’emozione, e quindi dell’irrazionalità, nelle decisioni degli esseri umani. Prendiamo ad esempio la persecuzione di Oppenheimer per presunte attività comuniste da parte di Strauss, attraverso una commissione d'inchiesta appositamente creata ed orchestrata. Tutto ciò dipese solo da una questione personale, una vendetta per essere stato Strauss pubblicamente ridicolizzato ed umiliato da Oppenheimer. D'altro canto Strauss pagherà la sua azione con la mancata conferma a segretario del commercio del Senato nel corso di una serie di udienze che il regista decide di girare in bianco e nero. È interessante chiedersi il perché di questa decisione; può darsi che essa sia dipesa dal desiderio di sottolineare il ruolo dell'udienza come sintesi degli eventi che vengono riportati analiticamente a colori nel resto del film.  Per restare nel campo del ruolo dell'emotività nelle decisioni umane è inoltre possibile che desiderio di vendetta e punizione per l'attacco a Pearl Harbor abbia contribuito alla decisione americana di bombardare Hiroshima e Nagasaki con l'atomica il 6 ed il 9 agosto 1945, nonostante la resa della Germania avvenuta tre mesi prima, L'emotività giuoca quindi brutti scherzi, ma se l'Umanità agisse solo razionalmente non sarebbe composta da esseri umani, ma da macchine. E allora? (per richiamare Einstein), allora dobbiamo sempre rifarci nel nostro agire al katà métron, cioè secondo misura, come gli antichi Greci secoli fa ci hanno insegnato.     

 

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