Può sembrare bizzarro accostare i fratelli Wachowski, creatori della saga di "Matrix", a Fëdor M. Dostoevskij, ma i motivi per farlo non mancano, come vedremo tra breve.
Tema centrale di "Matrix" è l'esistenza o meno del libero arbitrio, cioè in altre parole se esista per gli esseri umani la possibilità di scegliere, o se la loro condotta sia predeterminata sotto forma di destino. Si tratta di una questione di vitale importanza dal punto di vista della narrazione perché, se fosse vera la seconda ipotesi, verrebbe a cadere una delle più importanti differenze fra l'Umanità e le Macchine. Questo tema riaffiora frequentemente nei quattro film che compongono la saga, rimanendo spesso senza risposta. Il Merovingio (Lambert Wilson, episodio 2: "Matrix Reloaded”, 2003) affronta il tema partendo da un'angolatura diversa: egli sostiene che nulla accade per caso, che non esistono coincidenze e che tutto è il frutto di una catena infinita di cause e relativi effetti nella quale la possibilità di scelta degli Umani è assai limitata o addirittura inesistente. Ma nello stesso episodio, quando Neo (Keanu Reeves), posto di fronte alla scelta fra salvare la vita dell'amata Trinity (Carrie-Ann Moss) e quella di salvare il popolo degli Umani, decide per la prima opzione, i registi mostrano di propendere per il libero arbitrio. In effetti Neo opera in quella occasione una scelta particolarmente forte essendo egli "l'Eletto", colui che è predestinato a salvare l'Umanità (e qui non mancano analogie. con la figura di Gesù Cristo, come appare soprattutto nel finale del terzo episodio ("Matrix Revolutions”, 2003) e quindi obbligato al buon fine di questa missione. E proprio l'analogia con la figura di Gesù Cristo ci porta a Dostoevskij, in particolare a "I fratelli Karamazov” (1880). Nel contesto di questo romanzo Dostoevskij inserisce un racconto lungo che Ivàn Karamazov narra al fratello Alëša. Questo racconto parla del ritorno in terra di Gesù Cristo in Spagna ai tempi dell'Inquisizione e di come egli venga subito arrestato per ordine del Grande Inquisitore e condotto alla sua presenza. Questi in sostanza espone a Cristo la sua tesi, in base alla quale l'Umanità non vorrebbe essere dotata del diritto di scelta, preferirebbe vivere senza la necessità di prendere decisioni, affidando questo compito ad una sorta di aristocrazia, nella fattispecie l'ordine religioso, che decida per lei. Ed alla fine l'Inquisitore ordina a Gesù di andarsene e di non ritornare mai più per non turbare con i suoi insegnamenti questo ordine costituito. Ecco ricreato nel romanzo di Dostoevskij il doppio mondo di Matrix, da una parte quello virtuale, creato e controllato dalle Macchine (o dalla classe dei religiosi), nel quale gli esseri umani sono dei semplici fantocci che conducono le loro esistenze eterodiretti e dall'altra quello delle Macchine (o della classe dei religiosi) che hanno in mano il destino dell'Umanità attraverso una stretta programmazione. In mezzo abbiamo i pochi umani ribelli che vedono in Neo il loro liberatore. Nel primo episodio della saga ("The Matrix, 1999) a rinforzare l'analogia con la tesi dell'Inquisitore, assistiamo alla decisione di uno dei ribelli, Cypher (Joe Pantoliano), di tradire i compagni pur di assicurarsi un' esistenza comoda e priva di preoccupazioni nel mondo di "Matrix”.
Le analogie con le narrazioni di Dostoevskij non finiscono qui; se passiamo a considerare un altro suo romanzo, “L’Idiota” (1869), verso la fine viene descritta una riunione dell'alta società russa nel salotto della famiglia Epančìn. Tutti i personaggi (eccezion fatta ovviamente per il principe Myškin) si atteggiano nei confronti degli altri con una falsità clamorosa, fingendo simpatia ed ammirazione per persone che in realtà disprezzano e ritengono socialmente inferiori. Ecco descritta un'altra "Matrix" nella quale, prigionieri non delle Macchine nè dell’aristocrazia religiosa ma del condizionamento sociale, i personaggi recitano una parte predefinita che non corrisponde al loro pensiero creando così una realtà a parte.
In conclusione, questo accostamento fra i Wachowski e Dostoevskij che all'inizio ho definito bizzarro ritengo sia utile a dimostrare che possono passare secoli e possono cambiare drasticamente le tecniche dell'espressione artistica, ma i temi affrontati sono assai spesso gli stessi.
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