sabato 29 dicembre 2018

“Cold War”, Pawel Pawlikowski (2018)

Zula (Joanna Kulig) e Wiktor (Tomasz Kot) come i duellanti di Ridley Scott si incontrano, si lasciano, si ritrovano e poi si lasciano di nuovo in duelli amorosi in cui si combinano passione intensa ed  altrettanto intense incomprensioni, il tutto nell’Europa del periodo più caldo (1949-1964), per così dire, della guerra fredda.
Una selezione di partecipanti ad uno spettacolo di canti e danze popolari polacche fa da cornice al loro incontro: lui fa parte della commissione esaminatrice e lei del gruppo degli esaminandi. E’ lecito il dubbio che Wiktor possa far valere il suo ruolo di esaminatore per possedere Zula e/o che questa possa sfruttare il suo fascino allo scopo di essere selezionata. I due sono invece veramente innamorati, ma le vicende della vita e le scelte individuali cui nessuno dei due riesce a rinunciare ben presto intervengono a condizionare la loro storia. Tralasciando per brevità di elencare tutte le occasioni in cui Wiktor e Zula rescindono il loro rapporto in modo apparentemente, ma solo apparentemente, irreversibile, arriviamo al punto centrale del film, alla domanda che sottende il dipanarsi della vicenda: può esistere il vero Amore, con la a maiuscola, se da entrambe le parti non vi è disponibilità a cedere di un millimetro ai desideri ed alle scelte dell’altro/a? Domanda assai difficile alla quale i latini rispondevano riconoscendo l’esistenza di due tipi di amore, uno definito dal verbo “amare”, caratterizzato da  una passione istintiva, selvaggia, passionale, ciò che potremmo oggi chiamare “amour fou”, l’altro invece definito dal verbo “diligere”, accomunato nell’etimo a “eligere" cioè eleggere, che indica appunto un amore in cui la scelta della persona cui dedicare il proprio affetto viene operata non solo su basi emotive ma anche razionali, prevedendo quindi la possibilità di un adattamento delle proprie posizioni a quelle dell’altro/a. Wiktor e Zula rientrano nella prima categoria, sono preda di un amore passionale destinato a sfociare non in un rapporto di convivenza, di matrimonio, nella formazione di una famiglia, ma nella distruzione dei due protagonisti. Distruzione che leggiamo nell’espressione dei loro volti, progressivamente induriti dalla disillusione e nel ricorso all’alcol in particolare da parte di Zula, Zula che arriva ad immolarsi sposando, e dando lui un figlio, il burocrate Kaczmarek (Borys Szyc) pur di liberare Wiktor da una prigionia disumana. E così il film giunge alla fine, nella stessa chiesa diroccata nei cui pressi abbiamo visto all’inizio del film Kaczmarek, campione del materialismo storico, volgarmente mingere contro un albero, indifferente alla sacralità del luogo. Qui, ove è chiara la testimonianza della morte del sacro, muore anche l’amore folle (e forse per questa follia sacro anch’esso) di Wiktor e Zula. La frase di quest'ultima che chiude il film “Andiamo dall’altra parte perché là la vista è migliore” fornisce infine una risposta alla nostra domanda: sì è vero, l’Amore con la a maiuscola esiste, ma non in questo mondo.

Nessun commento:

Posta un commento