venerdì 12 settembre 2025

“Itaca - il Ritorno”, Uberto Pasolini (2025)

Oggetto di questo film sono gli ultimi 12 dei 24 libri dell’Odissea, dedicati al ritorno di Ulisse in patria dopo vent’anni di assenza a causa della guerra di Troia. La trama è ben nota e non vale la pena di soffermarvisi, ciò che è interessante nel film è l’analisi psicologica che il regista fa, operando alcune modifiche rispetto al testo omerico, dei tre principali personaggi: Ulisse (Ralph Fiennes), Penelope (Juliette Binoche) e il loro figlio Telemaco (Charlie Plummer).

Ulisse si presenta stanco e vecchio, sembra quasi del tutto privo della volontà di riprendere il suo posto come re dell’isola, una carica minacciata, come lo informa il pastore Eumeo (Claudio Santamaria), dalle pretese dei Proci. Certo, dopo essere passato attraverso le avventure menzionate dal V al XII libro dell’Odissea non lo si può biasimare, ma probabilmente c’è qualcosa di più della stanchezza, c’è il timore di non avere la capacità morale e fisica di svolgere questo compito, come se la guerra a Troia ed il ritorno in patria avessero esaurito una volta per tutte le sue risorse. Ed in effetti prima di decidere di iniziare l’impresa passa del tempo; probabilmente lo stimolo decisivo ad entrare in azione gli viene dall’assistere allo spettacolo dei Proci che bivaccano nel palazzo come volgari invasori, pretendendo in modo piò o meno aggressivo la mano di Penelope. 

Penelope, appunto; per tutta la narrazione la vediamo in preda a un dubbio: continuare ad attendere il marito, nella parte della sposa fedele, o accettare le profferte di matrimonio di qualcuno dei Proci, sacrificando la fedeltà coniugale al benessere di Itaca? L’isola, in assenza di un re, era in effetti andata incontro ad un progressivo e grave decadimento. Come noto, grazie al trucco del telaio, ella prenderà tempo, ma l’ansia di non sapere per certo quale sia il ruolo da scegliere è in lei ben evidente, anche perché il figlio Telemaco insiste affinché sposi uno dei Proci e riporti Itaca al suo splendore.

Telemaco in effetti non nasconde un'avversione nei confronti della figura del padre, lo accusa infatti apertamente nei colloqui con la madre di essersi assentato per vent’anni per combattere una guerra inutile, portando con sé la miglior gioventù dell’isola a morire a Troia. Tutto ciò fa pensare che Telemaco fosse preda di un complesso di Edipo e che volesse quindi far scomparire la figura del padre, far sposare alla madre un pretendente che certo non avrebbe mai amato e tenere quindi per sé tutto il suo affetto.

Ed alla fine, come noto, Ulisse si svela, ma come si svela? Da un lato dimostrando la sua prestanza ed abilità nel combattimento quando riesce a tendere il suo arco e a far passare la freccia attraverso l’occhiello di 12 asce in serie e dall’altro descrivendo correttamente a Penelope il talamo nuziale. Il messaggio sottinteso è quindi chiaro: il re, per essere tale, deve essere capace sia di combattere che di procreare, doti che gli permettono di perseguire il suo destino di mantenere e far prosperare la propria terra.

giovedì 4 settembre 2025

"A complete Unknown”, James Mangold (2024)

Robert Zimmerman, alias Bob Dylan, è il "Completo Sconosciuto" del titolo di questo film. Perché questo titolo, tratto da una strofa della celeberrima "Like a Rolling Stone"? Lo capiamo nel corso della narrazione, assistendo alle multiple e variabili sfaccettature della personalità di Dylan (Timothée Chalamet). All’inizio lo vediamo giungere a New York da Minneapolis con uno zaino e una chitarra al solo scopo di conoscere il suo idolo, Woody Guthrie (Scoot McNairy) gravemente malato in un letto di ospedale. Le cose poi cambiano poiché lo vediamo dimostrare scarso interesse ed empatia per chi lo circonda, in particolare per le donne con cui intrattiene relazioni e soprattutto con Sylvie (Elle Fanning) ed infine assume prese di posizione autoreferenziali come la decisione di esibirsi nel 1965 con una chitarra elettrica al festival di Newport, tempio della tradizionale musica folk, creando grande scandalo. Da questo punto di vista è illuminante il breve colloquio che si svolge fra Dylan e Bobby Neuwirth (Will Harrison), anch'egli musicista, in ascensore all'uscita da un evento privato dove Bob si era brevemente esibito. Qui egli commenta che ognuno dei presenti all'evento avrebbe voluto che lui fosse qualcun altro e che si f*****o e lo lascino essere, con un giuoco di parole intraducibile: "let me be" significa infatti sia "lasciarmi stare" che "lasciarmi essere", al che Neuwirth ribatte e chi dovrebbero lasciarti essere? e Dylan risponde non lo so, ma loro senz'altro lo sanno. Ecco che quindi Dylan risulta uno sconosciuto anche a se stesso, addossando ai suoi fan la scelta di decidere chi egli sia. E la peculiarità del carattere di Dylan è ulteriormente esaltata dal costante raffronto con quello di Pete Seeger (Edward Norton) che rimane sempre uguale a se stesso nella vita, sia sul piano artistico e di impegno sociale che sul piano famigliare. 
Todd Haynes nel 2007 aveva già descritto Dylan nel film "Io non sono qui” attraverso le vicende di sei personaggi che ne illustrano le sfaccettature del carattere e dell'opera, creando un biopic molto originale, contrariamente al presente che è costruito secondo i canoni abituali per questo tipo di narrazione. E forse non è un caso che entrambi i film abbiano un titolo in negativo (non sono qui e non conosciuto) proprio a sottolineare la difficoltà di descrivere Dylan. 
Per persone della mia età questo film è molto godibile anche solo per la colonna sonora che ci riporta ai tempi della nostra gioventù, ma è anche fonte di sconforto se consideriamo che, nonostante le energie spese allora con grande ottimismo per cambiare in meglio il mondo, con buona pace di Voltaire ci troviamo oggi a vivere in un mondo ancora più stupido e crudele di allora.