giovedì 8 febbraio 2024

“The Holdovers”, Alexander Payne (2023)

Con questo film Alexander Payne riprende l’analisi a lui cara della vita di tutti i giorni di persone comuni ed anche questa volta, come in “Election” (1999) ed in “Nebraska" (2013), decide di utilizzare un microcosmo, questa volta decisamente claustrofobico, composto da tre personaggi costretti a passare soli soletti due settimane delle vacanze natalizie al college Barton nel New England. Paul Hanham (Paul Giamatti), insegnante, e Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph), cuoca, sono in veste di custodi e Angus Tully (Dominic Sessa), studente, in veste di ospite forzato. Ciò che accomuna questi tre soggetti (ben definiti dal titolo, azzeccato ma non facilmente traducibile, forse “I lasciati indietro” riesce a rendere l’idea) è una vita tragica: il primo ha avuto la carriera irrimediabilmente rovinata per una falsa accusa di plagio durante gli studi ad Harvard ed ora insegna storia antica avendo come superiore un suo ex-allievo, la seconda ha appena perso il figlio ventenne Curtis verosimilmente in Vietnam (siamo alla fine del 1970), il cui cognome, Lamb (agnello in inglese), lo caratterizza come innocente vittima sacrificale di quella guerra, e l’ultimo abbandonato dalla madre che preferisce andare in vacanza con il neo-marito, mentre il precedente, padre di Angus, è ricoverato in una struttura psichiatrica per una grave psicosi schizofrenica. 
Come reagiscono questi personaggi a queste sventure, come riescono ad arrampicarsi sulla scala da pollaio della vita, per usare una metafora cara a Paul? 
Quest’ultimo si rifugia nello studio e nutre un non celato disprezzo nei confronti degli allievi, considerati tutti ricchi, aristocratici ed ignoranti (proprio come colui che lo accusò falsamente ad Harvard e fu creduto grazie al suo status economico-sociale); non a caso ha un particolare interesse per il pessimismo stoico di Marco Aurelio, di cui regala ai colleghi di reclusione il libro “Colloqui con se stesso”, summa del pensiero dell’imperatore-filosofo. 
La seconda esibisce un cinismo sarcastico che non le appartiene e si nasconde dietro una nuvola di fumo e whisky con la quale cerca di nascondersi la verità: se fosse stata benestante come i genitori dei ragazzi del college avrebbe potuto iscrivere Curtis all’università evitandogli la partenza per il Vietnam e quindi lo avrebbe ancora con sé. 
Il terzo invece, da buon adolescente, sfoga apertamente la sua rabbia nei confronti del mondo. 
E il miracolo che Payne riesce a compiere nel corso della narrazione, svolta come sua abitudine senza usare toni alti o effetti speciali un po’ come un quadro di Edward Hopper, è quello di riuscire a trasformare questi tre iceberg che sembrano appunto destinati a distruggersi cozzando l’un contro l’altro in esseri umani che si aiutano a vicenda, che soffrono e ridono insieme, che si capiscono e in definitiva, finalmente, si amano. Certo, è un’operazione faticosa per questi piccoli ma grandi uomini (+ una donna) cui il regista dedica appunto uno spezzone dell’omonimo film di Arthur Penn del 1970. Tutti e tre quindi escono trasformati da queste due settimane: Paul rompe il guscio di algida dignità che si era costruito e ricorre metaforicamente al suo occhio buono (ha un forte strabismo) mentendo per salvare Angus dall’espulsione dal college, Mary ritrova la gioia di vivere pensando al nipotino in arrivo, per il quale mette da parte il corredino che era stato del figlio, e Angus riprende la sua carriera scolastica, grato a Paul del salvataggio e pronto ad affrontare la scala da pollaio della vita con la dovuta fermezza ed energia.  

1 commento:

  1. Film molto bello. Impossibile non pensare (e quindi rivedere) a Sideways, altra stupenda interpretazione di Paul Giamatti per la stessa regia di Payne. La sua capacità e la sua ironica naturalezza nell'interpretare un uomo disilluso e tartassato dalla vita sono grandiose. Anche qui una orgogliosa spallata finale accende la luce della speranza.

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