Come reagiscono questi personaggi a queste sventure, come riescono ad arrampicarsi sulla scala da pollaio della vita, per usare una metafora cara a Paul?
Quest’ultimo si rifugia nello studio e nutre un non celato disprezzo nei confronti degli allievi, considerati tutti ricchi, aristocratici ed ignoranti (proprio come colui che lo accusò falsamente ad Harvard e fu creduto grazie al suo status economico-sociale); non a caso ha un particolare interesse per il pessimismo stoico di Marco Aurelio, di cui regala ai colleghi di reclusione il libro “Colloqui con se stesso”, summa del pensiero dell’imperatore-filosofo.
La seconda esibisce un cinismo sarcastico che non le appartiene e si nasconde dietro una nuvola di fumo e whisky con la quale cerca di nascondersi la verità: se fosse stata benestante come i genitori dei ragazzi del college avrebbe potuto iscrivere Curtis all’università evitandogli la partenza per il Vietnam e quindi lo avrebbe ancora con sé.
Il terzo invece, da buon adolescente, sfoga apertamente la sua rabbia nei confronti del mondo.
E il miracolo che Payne riesce a compiere nel corso della narrazione, svolta come sua abitudine senza usare toni alti o effetti speciali un po’ come un quadro di Edward Hopper, è quello di riuscire a trasformare questi tre iceberg che sembrano appunto destinati a distruggersi cozzando l’un contro l’altro in esseri umani che si aiutano a vicenda, che soffrono e ridono insieme, che si capiscono e in definitiva, finalmente, si amano. Certo, è un’operazione faticosa per questi piccoli ma grandi uomini (+ una donna) cui il regista dedica appunto uno spezzone dell’omonimo film di Arthur Penn del 1970. Tutti e tre quindi escono trasformati da queste due settimane: Paul rompe il guscio di algida dignità che si era costruito e ricorre metaforicamente al suo occhio buono (ha un forte strabismo) mentendo per salvare Angus dall’espulsione dal college, Mary ritrova la gioia di vivere pensando al nipotino in arrivo, per il quale mette da parte il corredino che era stato del figlio, e Angus riprende la sua carriera scolastica, grato a Paul del salvataggio e pronto ad affrontare la scala da pollaio della vita con la dovuta fermezza ed energia.
Film molto bello. Impossibile non pensare (e quindi rivedere) a Sideways, altra stupenda interpretazione di Paul Giamatti per la stessa regia di Payne. La sua capacità e la sua ironica naturalezza nell'interpretare un uomo disilluso e tartassato dalla vita sono grandiose. Anche qui una orgogliosa spallata finale accende la luce della speranza.
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