martedì 7 febbraio 2023

“Gli spiriti dell’isola”, Martin McDonagh (2022)

Perché Colm (Brendan Gleeson) di punto in bianco decide di non voler più parlare con il suo una volta amico per la pelle Pádraic (Colin Farrell)? È la domanda che lecitamente si pone lo spettatore per la prima metà del film. Quando veniamo a conoscere il motivo del comportamento di Colm e cioè che egli ha deciso di non sprecare più il suo tempo in chiacchiere con il noioso Pádraic, per dedicarsi ad attività più pregnanti come comporre musica, ci appare chiaro che non può essere quello il tema principale della narrazione. 
Di cosa quindi si tratta? Un aiuto ci viene dal considerare la filmografia di McDonagh, da “In Bruges” (2008) a “7 Psicopatici” (2012) a “Tre manifesti a Ebbing, Missouri" (2017) in cui la violenza nei rapporti fra gli esseri umani è il tema ricorrente, sempre trattato in modo surreale e con note di umorismo dark molto britannico (McDonagh è inglese, ma di origini irlandesi) . La conferma che di questo tema si tratta la ricaviamo dal film ed è il cannoneggiare che occasionalmente gli abitanti della piccola ed immaginaria isola di Inisherin, in cui si svolge la narrazione, sentono provenire dall’Irlanda, dove è in corso la guerra civile del 1922-1923; il litigio tra amici nella piccola Inisherin rappresenta quindi una analogia in sedicesimo della guerra civile, fra connazionali appunto, che si svolge nella grande Irlanda. Ecco che ancora una volta McDonagh lancia il suo messaggio contro la violenza, sia privata che pubblica, un messaggio pessimista poiché gli uomini continuano a combattersi e litigare nonostante gli avvertimenti che ad essi provengono nel film sia dalla mitologia celtica nella figura della Banshee impersonata da Mrs McCormick (Sheila Flitton) in veste non solo metaforica (vedi la rappresentazione sottostante di questa figura mitologica in un disegno del 1825), che predice il verificarsi dei decessi, che dalla religione, come testimoniato dalla croce celtica che domina il porto e dalla statua della Madonna che sorge, guarda caso, all’incrocio che a destra porta alla casa di Colm ed a sinistra a quella di Pádraic.

Ma non solo mito e religione tentano di richiamare gli esseri umani all’ordine, la Natura stessa lo fa nelle vesti degli animali che si aggirano fra questi uomini e li guardano litigare, stupiti come il pony che scruta l’interno della casa dalla finestra, in un ruolo identico a quello del cerbiatto e dei cavalli che abbiamo visto in “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Siamo quindi inevitabilmente condannati come Umanità ad una guerra perenne? Forse no: nel pessimismo che pervade la narrazione va sottolineato un dettaglio: all’inizio del film, quando Pádraic si reca da Colm per invitarlo a bere al pub, è presente sullo schermo alla sinistra dello spettatore, una porzione di arcobaleno, come per dire, in una rappresentazione circolare del tempo, che dopo la fine della tempesta (il cielo nuvoloso dell’ultima inquadratura) la pace è sempre possibile. 

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