Sophie (Francesca Corio da bambina e Celia Rowlson-Hall da adulta), trentenne scozzese, rivive una vacanza passata vent’anni prima in Turchia con il padre Calum (Paul Mescal) attraverso le immagini di alcuni video, intercalate con i suoi ricordi. Può sembrare una trama banale, ma l’abilità della regista sta nel farci “entrare” nei due personaggi quasi come se essi diventassero propriamente parte di noi. Di questa coppia apparentemente felice e spensierata impariamo quindi a riconoscere la depressione di Calum, ad intuire che nel rappresentarlo con il braccio ingessato per una frattura del polso la Wells vuole esprimere la frammentazione della sua anima, l’anima di un trentenne che, parlando con un istruttore di snorkeling, gli dice di stupirsi di essere arrivato a quell’età e che gli sembra impossibile arrivare a quarant’anni. Ed il suo impegnarsi in atteggiamenti rischiosi (gettarsi in mare di notte vestito, mettersi in piedi sulla ringhiera del terrazzo in equilibrio instabile, attraversare la strada senza curarsi dell’autobus che lo sfiora) fanno presagire quale potrà essere l’epilogo della sua vita, non mostrato nel film, ma molto verosimile. Non che egli si lasci andare senza opporre resistenza al suo disagio psicologico, lo vediamo infatti impegnato nel Tal-Chi, apprendiamo che legge manuali sulla meditazione, assistiamo ai suoi tentativi di partecipare alla vita di società del villaggio-vacanze, ma inutilmente: per restare nella metafora, vediamo le difficoltà che ha nel togliersi il gesso dal braccio, poi si sottrae al karaoke programmato da Sophie e non accenna nemmeno un sorriso quando Sophie organizza un coro di auguri con gli altri ospiti del villaggio il giorno del suo trentunesimo compleanno. Come dice la figlia, Calum non sta per compiere 31 ma 131 anni; lei crede di essere spiritosa, ma esprime in questo modo il reale esaurimento dell’anima del padre.
E cosa dire di Sophie? È una bambina di undici anni, spensierata e felice come si dovrebbe essere a quell'età, anche se ha alle spalle il divorzio dei genitori, peraltro rimasti in buoni rapporti. La vediamo intrecciare un flirt innocente con un coetaneo, assistere perplessa ai rapporti di un gruppo di adolescenti fra alcol e pomiciate in piscina, opporsi infastidita all’abitudine del padre di mettersi a ballare nei momenti più inconsueti. E proprio il ballare di padre e figlia, che la Wells ci mostra a tratti, illuminato da luci stroboscopiche in discoteca, sembra farci intuire, attraverso l'espressione disperata di lui e quella algida di lei da adulta, la drammatica incomprensione che potrà svilupparsi fra i due il cui ricordo, forse, Sophie adulta vuole lenire guardando i video della vacanza, proprio come la lozione dopo sole (da cui il titolo del film) che il padre le applicava durante la vacanza leniva le scottature solari. Non a caso utilizzo i termini “forse" e “potrà”, perché il segno distintivo di questo film sta proprio nel non detto (come anche nel caso del presumibile fine-vita di Calum), nel lasciare quindi lo spettatore libero di interpretare l’opera secondo la sua sensibilità.
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