giovedì 23 febbraio 2023

"The quiet girl", Colm Bairéad (2023)

 

Cáit (una perfetta Catherine Clinch) vive in ristrettezze economiche con la numerosa e problematica famiglia (tre sorelle, un fratello neonato ed un altro in arrivo, padre bevitore che getta i soldi scommettendo sui cavalli e madre comprensibilmente devastata) in una fattoria irlandese negli anni '80. Perché Cáit è una "ragazza quieta"? Non ha una sindrome psichiatrica, per esempio dello spettro autistico, tutt'altro, è una bambina dotata di una sensibilità acutissima che mal tollera il disagio della vita in quel tipo di famiglia. E quindi non parla, si nasconde (nell'erba, quasi invisibile, rannicchiata in posizione fetale nella bella immagine iniziale, o sotto il letto) e fugge il rapporto con le compagne di scuola e le sorelle, rozze e sgradevoli. 

La svolta nella vita di Cáit avviene quando i genitori, stanchi di avere fra i piedi questa "musona", decidono di mandarla a passare l'estate da lontani parenti della madre in un'altra fattoria. Qui Cáit viene accolta con affetto materno da Eibhlín (Carrie Crowley), mentre il marito Seán (Andrew Bennett) dimostra nei suoi confronti un atteggiamento inizialmente distaccato che poi però gradualmente diviene sempre più affettuoso. Ed è in questo contesto che Cáit si rende conto dell'esistenza di una serie di antitesi, in linea con il pensiero strutturalista, esistenti fra la sua famiglia e quella di Eibhlín e Seán: famiglia numerosissima/famiglia a due membri, disordine e sporco/ordine e pulizia, menefreghismo/attenzione per gli altri. Ella capisce in altre parole che può esistere un altro mondo contrapposto al suo di origine. Pensiamo ad esempio alla cucina, dove si svolge buona parte delle riprese: quella di Eibhlín e Seán è un luogo dove ci si sente protetti, riparati dai pericoli come metaforicamente il vento che squassa gli alberi fuori dalla finestra. Ed è un posto dove si chiacchiera tranquilli, mentre la cucina della casa di Cáit è un antro lercio e inospitale dove si litiga e il cibo scarseggia. Ma perché Seán appare inizialmente indifferente alla presenza della bambina? Ebbene, anche in questa casa felice esiste una macchia: la morte dell'unico figlio, annegato in una vasca di liquami. E quindi Eibhlín riversa immediatamente su Cáit tutto il suo amore, vedendo in lei l'immagine del figlio perduto, mentre Seán teme più o meno inconsciamente di tradire il ricordo del figlio nel dimostrare affetto per la bambina. Ma con il tempo Seán diventa per Cáit un padre nel senso non solo affettivo ma anche di guida, le insegna infatti il valore ed il peso delle parole e l'importanza di tacere al momento opportuno ed ha l'intelligenza di capire l'importanza di incoraggiare questa creatura, frustrata nell'anima, esortandola a correre e mostrandole, cronometro alla mano, i suoi miglioramenti. Tutto nella vita ha però una fine e Cáit in autunno deve tornare a casa. Un ritorno imbarazzante e triste cui Cáit cerca di sottrarsi questa volta senza nascondersi, ma correndo verso Eibhlín e Seán. Saggiamente il regista non ci mostra fino in fondo l’epilogo della vicenda (vediamo solo il padre della bambina che si affretta per recuperarla) e nei nostri occhi rimane solamente l'immagine struggente dell'intenso abbraccio fra Cáit e Seán.  

sabato 11 febbraio 2023

“Le otto montagne”, Felix van Gröningen e Charlotte Vandermeersch (2022)

 

Il manifesto del film, riportato qui a fianco e che ci mostra il tetto della baita costruita da Bruno (Alessandro Borghi) e Pietro (Luca Marinelli) per volontà del primo di esaudire il desiderio di Giovanni (Filippo Timi), padre del secondo, riassume in modo esemplare i temi principali del film. Il tetto della casa rispecchia infatti la montagna retrostante, come per dire che la montagna è la casa, è il posto dove ci si rifugia e si ritrova se stessi, un posto da cui Bruno non riuscirà mai a staccarsi, al prezzo di abbandonare la figlia e la moglie. Ed è il posto dove Giovanni dopo una vita intera di lavoro accanito e non amato, circondato dal fumo della città e delle innumerevoli sigarette, avrebbe desiderato trasferirsi. E Bruno, dall’alto, guarda l’amico di una vita Pietro, in basso; egli è in alto perché è lui il vero uomo della montagna, in cui si muove con maestria e al di fuori della quale non riesce a vivere, mentre Pietro vive in una sorta di terra di mezzo, a suo agio sia nella città che nella montagna. Giovanni, come abbiamo visto, rappresenta una terza categoria, la più infelice: vive e lavora malvolentieri in città riuscendo a strappare pochi momenti fra le amate montagne ed il fato gli impedirà di esaudire il suo desiderio di soggiornarvi a lungo alla fine della vita lavorativa. La montagna è quindi un veicolo che permette di addentrarsi nelle storie di vita dei protagonisti, storie che possono essere approfondite come ad esempio il rapporto che i due giovani hanno con il loro padri, un rapporto difficile per entrambi. Apprendiamo però dalla narrazione che Giovanni ha instaurato con Bruno, l'amico del figlio, un buon rapporto di tipo paterno-filiale, sempre grazie all’ambiente montano. Ed è interessante anche studiare la personalità di Bruno, in particolare la sua testardaggine nel sacrificare ogni cosa alla montagna fino a rinunciare alla moglie ed alla figlia pur di non accettare un impiego stagionale in un impianto di risalita perché lo avrebbe allontanato dalle sue vette. Il solo ambiente non può spiegare questo comportamento, devono esserci delle motivazioni, forse genetiche, ma più probabilmente legate al pessimo rapporto con il padre, personaggio quasi inesistente che però quando appare strappa il giovane Bruno alla montagna per portarlo a fare il muratore e in più gli impedisce di accettare l’offerta dei genitori di Pietro di continuare gli studi vivendo con l'amico nella sua casa di Torino. Restano le otto montagne, cosa stanno a significare? Ce lo dice un anziano nepalese che spiega a Pietro come il mondo sia costituito da 8 montagne intercalate da otto mari, il tutto disposto a raggiera in un cerchio al centro del quale si trova il monte Sumeru. E la domanda è: avrà imparato di più, colui che ha scalato le otto montagne o chi si è limitato a scalare il Sumeru? Personalmente ritengo che la risposta non sia univoca ma che dipenda dal singolo soggetto: Pietro ha girato il mondo ed ha imparato ciò che gli interessava come anche Bruno, che non è mai uscito dalla cerchia delle sue montagne, ha imparato ciò che interessava a lui.

martedì 7 febbraio 2023

“Gli spiriti dell’isola”, Martin McDonagh (2022)

Perché Colm (Brendan Gleeson) di punto in bianco decide di non voler più parlare con il suo una volta amico per la pelle Pádraic (Colin Farrell)? È la domanda che lecitamente si pone lo spettatore per la prima metà del film. Quando veniamo a conoscere il motivo del comportamento di Colm e cioè che egli ha deciso di non sprecare più il suo tempo in chiacchiere con il noioso Pádraic, per dedicarsi ad attività più pregnanti come comporre musica, ci appare chiaro che non può essere quello il tema principale della narrazione. 
Di cosa quindi si tratta? Un aiuto ci viene dal considerare la filmografia di McDonagh, da “In Bruges” (2008) a “7 Psicopatici” (2012) a “Tre manifesti a Ebbing, Missouri" (2017) in cui la violenza nei rapporti fra gli esseri umani è il tema ricorrente, sempre trattato in modo surreale e con note di umorismo dark molto britannico (McDonagh è inglese, ma di origini irlandesi) . La conferma che di questo tema si tratta la ricaviamo dal film ed è il cannoneggiare che occasionalmente gli abitanti della piccola ed immaginaria isola di Inisherin, in cui si svolge la narrazione, sentono provenire dall’Irlanda, dove è in corso la guerra civile del 1922-1923; il litigio tra amici nella piccola Inisherin rappresenta quindi una analogia in sedicesimo della guerra civile, fra connazionali appunto, che si svolge nella grande Irlanda. Ecco che ancora una volta McDonagh lancia il suo messaggio contro la violenza, sia privata che pubblica, un messaggio pessimista poiché gli uomini continuano a combattersi e litigare nonostante gli avvertimenti che ad essi provengono nel film sia dalla mitologia celtica nella figura della Banshee impersonata da Mrs McCormick (Sheila Flitton) in veste non solo metaforica (vedi la rappresentazione sottostante di questa figura mitologica in un disegno del 1825), che predice il verificarsi dei decessi, che dalla religione, come testimoniato dalla croce celtica che domina il porto e dalla statua della Madonna che sorge, guarda caso, all’incrocio che a destra porta alla casa di Colm ed a sinistra a quella di Pádraic.

Ma non solo mito e religione tentano di richiamare gli esseri umani all’ordine, la Natura stessa lo fa nelle vesti degli animali che si aggirano fra questi uomini e li guardano litigare, stupiti come il pony che scruta l’interno della casa dalla finestra, in un ruolo identico a quello del cerbiatto e dei cavalli che abbiamo visto in “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Siamo quindi inevitabilmente condannati come Umanità ad una guerra perenne? Forse no: nel pessimismo che pervade la narrazione va sottolineato un dettaglio: all’inizio del film, quando Pádraic si reca da Colm per invitarlo a bere al pub, è presente sullo schermo alla sinistra dello spettatore, una porzione di arcobaleno, come per dire, in una rappresentazione circolare del tempo, che dopo la fine della tempesta (il cielo nuvoloso dell’ultima inquadratura) la pace è sempre possibile. 

venerdì 3 febbraio 2023

“Aftersun”, Charlotte Wells (2022)


Sophie (Francesca Corio da bambina e Celia Rowlson-Hall da adulta), trentenne scozzese, rivive una vacanza passata vent’anni prima in Turchia con il padre Calum (Paul Mescal) attraverso le immagini di alcuni video, intercalate con i suoi ricordi. Può sembrare una trama banale, ma l’abilità della regista sta nel farci “entrare” nei due personaggi quasi come se essi diventassero propriamente parte di noi. Di questa coppia apparentemente felice e spensierata impariamo quindi a riconoscere la depressione di Calum, ad intuire che nel rappresentarlo con il braccio ingessato per una frattura del polso la Wells vuole esprimere la frammentazione della sua anima, l’anima di un trentenne che, parlando con un istruttore di snorkeling, gli dice di stupirsi di essere arrivato a quell’età e che gli sembra impossibile arrivare a quarant’anni. Ed il suo impegnarsi in atteggiamenti rischiosi (gettarsi in mare di notte vestito, mettersi in piedi sulla ringhiera del terrazzo in equilibrio instabile, attraversare la strada senza curarsi dell’autobus che lo sfiora) fanno presagire quale potrà essere l’epilogo della sua vita, non mostrato nel film, ma molto verosimile. Non che egli si lasci andare senza opporre resistenza al suo disagio psicologico, lo vediamo infatti impegnato nel Tal-Chi, apprendiamo che legge manuali sulla meditazione, assistiamo ai suoi tentativi di partecipare alla vita di società del villaggio-vacanze, ma inutilmente: per restare nella metafora, vediamo le difficoltà che ha nel togliersi il gesso dal braccio, poi si sottrae al karaoke programmato da Sophie e non accenna nemmeno un sorriso quando Sophie organizza un coro di auguri con gli altri ospiti del villaggio il giorno del suo trentunesimo compleanno. Come dice la figlia, Calum non sta per compiere 31 ma 131 anni; lei crede di essere spiritosa, ma esprime in questo modo il reale esaurimento dell’anima del padre.         

E cosa dire di Sophie? È una bambina di undici anni, spensierata e felice come si dovrebbe essere a quell'età, anche se ha alle spalle il divorzio dei genitori, peraltro rimasti in buoni rapporti. La vediamo intrecciare un flirt innocente con un coetaneo, assistere perplessa ai rapporti di un gruppo di adolescenti fra alcol e pomiciate in piscina, opporsi infastidita all’abitudine del padre di mettersi a ballare nei momenti più inconsueti. E proprio il ballare di padre e figlia, che la Wells ci mostra a tratti, illuminato da luci stroboscopiche in discoteca, sembra farci intuire, attraverso l'espressione disperata di lui e quella algida di lei da adulta, la drammatica incomprensione che potrà svilupparsi fra i due il cui ricordo, forse, Sophie adulta vuole lenire guardando i video della vacanza, proprio come la lozione dopo sole (da cui il titolo del film) che il padre le applicava durante la vacanza leniva le scottature solari. Non a caso utilizzo i termini “forse" e “potrà”, perché il segno distintivo di questo film sta proprio nel non detto (come anche nel caso del presumibile fine-vita di Calum), nel lasciare quindi lo spettatore libero di interpretare l’opera secondo la sua sensibilità.