giovedì 15 agosto 2019

“Tesnota”, Kantemir Balagov (2017)

“Tesnota” è un film non facile, ma importante per l’analisi e la descrizione degli aspetti emozionali che condizionano le relazioni fra i personaggi. Per apprezzare questa qualità è necessario però avere la capacità (e la volontà) di identificarsi empaticamente con i soggetti che animano lo schermo.
La trama è semplice: nel 1998, alla periferia di Nalchik, città industriale del Caucaso settentrionale, viene rapita una coppia di fidanzati ebrei. La storia della ricerca del denaro per pagare il riscatto si embrica con le dinamiche interpersonali vigenti all'interno delle famiglie, della comunità e della società il che richiama appunto il titolo del film che significa in russo “vicinanza”. L’analisi del regista esordiente Kantemir Balagov, allievo di Sokurov, richiama i primi studi di sociologia come ad esempio “Comunità e Società" di Ferdinand Tonnies (1887). Questi però distingueva i rapporti nella comunità, dettati dai “caldi impulsi del cuore”, da quelli della società “che procede dal freddo intelletto”. In Balagov invece la comunità non è unita dal cuore, basta pensare alla scena nella sinagoga quando il rabbino cerca di raccogliere fondi per il riscatto: è tutto un chiamarsi fuori con le scuse più varie. E i rapporti nella società non sono da meno: Ila (Darya Zovnar), sorella del giovane rapito, è legata ad un giovane musulmano, Zalim (Nazir Zhukov), e questo legame è fortemente avversato dai genitori che non accettano un elemento che sì vive nella loro stessa società ma non rientra nei loro schemi culturali e tradizionali. La vicinanza, sia nella comunità che nella società, sembra non essere di aiuto alla convivenza. Rimane la famiglia, ma anche qui non mancano i problemi. In quella di Ila, come già detto, esplodono contrasti per il suo legame con il giovane musulmano, ma i rapporti sono comunque difficili: Ila è indipendente e ribelle, non accetta le regole tradizionali della famiglia ed è in costante rivolta nei confronti dei genitori, in particolare della madre Adina, (Olga Dragunova, da ricordare per una gamma di espressioni del viso che quasi rende inutile il parlato). Ila arriva a perdere di sua iniziativa la verginità con Zalim allo scopo di non sposare il giovane che la famiglia ha scelto per lei. La vicinanza non è quindi garanzia di facile convivenza, anzi può essere catalizzatrice di incomprensioni e drammi anche e soprattutto nell’ambito famigliare. E questo non deve per forza stupire, è normale che i figli possano non accettare le regole dei genitori poiché essi sono rivolti al futuro mentre i genitori vivono nel presente e nel ricordo del passato. Questo è il significato della bella immagine finale del film, ripresa nel poster, in cui Adina cerca di trattenere fra le braccia Ila che invece guarda decisa in avanti; il tutto nei caldi toni del giallo ocra e del blu che richiamano il vestito che all’inizio del film Adina impone alla figlia, ultima imposizione che essa accetterà dalla madre.

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