sabato 4 maggio 2019

“La Caduta dell'impero americano”, Denys Arcand (2018)

Jean-Paul (Alexandre Landry) e Linda (Florence Longpré), sono insoddisfatti della loro posizione socio-economica, ma manifestano questa insoddisfazione in modo diverso. Il primo, laureato in filosofia ma costretto a guadagnarsi da vivere facendo consegne a domicilio, nutre rancore per questo verso la società: ritiene infatti ingiusto che un uomo della sua intelligenza (e qui si dovrebbe discutere però su cosa significhi intelligenza) non possa posizionarsi più in alto nella scala economico-sociale. La seconda invece, impiegata di banca e madre single, si adagia tristemente nella sua condizione senza porsi domande o avanzare rivendicazioni. La crisi si verifica poco dopo, quando Jean-Paul assiste a una rapina e decide di appropriarsi della refurtiva, rimasta sulla strada dopo la morte di due rapinatori ed il ferimento di un terzo, senza sapere sul momento che si tratta di soldi di proprietà della malavita locale. L’appropriazione di quel denaro rappresenta la lacerazione dell’etica di cui il Nostro ama parlare, in particolare dell’etica dei principi che Jean-Paul abitualmente coltiva dedicando il suo tempo libero al volontariato in aiuto dei clochard. In altri termini: se è facile parlare in astratto seduti al ristorante con Linda, non lo è altrettanto agire di conseguenza se si è tentati. Il desiderio di riscatto economico-sociale porta quindi il nostro Jean-Paul ad infrangere i suoi principi e a mettere a frutto il denaro non suo grazie a tecniche finanziarie al limite della legalità, da vero pescecane del capitalismo. In questo gli vengono in aiuto Sylvain Bigras (Rémy Girard) e Wilbrod Taschereau (Pierre Curzi), entrambi a loro agio nel mondo del denaro, l’uno nella veste di malavitoso  dedito allo studio dell'economia aziendale e l’altro titolare di uno studio finanziario ed esperto in manovre di economia spericolata. Ma il mondo non è fatto solo di freddo ragionamento e di denaro, esistono anche sentimenti, emozioni, irrazionalità. E a questo proposito entra in scena la bellissima Camille (Maripier Morin), Aspasia in arte, prostituta di alto livello di cui Jean-Paul si innamora follemente. E Camille, abbandonata dal padre da bambina, cresciuta in condizioni economiche precarie, sposata con un uomo più anziano di lei di 25 anni (era evidentemente alla ricerca della figura paterna) e poi da lui divorziata, ricambia il suo amore, gli presta denaro, corre pericoli per aiutarlo nella sua impresa finanziaria. E che dire, sempre a proposito di irrazionalità, del malavitoso Vladimir François (Eddy King), organizzatore occulto della rapina, che affida la sua vita non a un esercito di guardie del corpo ma ad un talismano, seguendo a sua insaputa l’Amor Fati di Marc’Aurelio, citato da Jean-Paul; ma il Fato, deciso dagli Dei, non è modificabile e infatti il povero Vladimir esce in breve di scena per mano di un sicario.
In conclusione, possiamo forse dire senza filosofeggiare che l’occasione fa l’uomo ladro e che ciò vale per chiunque? Forse, ma Arcand ci insinua un dubbio, facendo sfilare prima dei titoli di coda i volti di alcuni clochard, in particolare Inuit. Volti seri, dignitosi, che sembrano volerci dire “Io non lo farei mai”. Non possiamo però esserne sicuri: in un mondo in cui spregiudicatezza e mancanza di scrupoli sono il lasciapassare per raggiungere l’apice della piramide è difficile per chiunque, di fronte a un’opportunità presentataci inopinatamente dal Fato, girare la testa dall’altra parte. Jean-Paul docet.

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