Lazzaro (Adriano Tardiolo) è sempre a disposizione di tutti, tutti lo chiamano e lui corre per soddisfare qualsiasi richiesta. Sembra quasi che il suo nome derivi dall'imperativo evangelico “Alzati e cammina!” come se fosse suo destino obbedire (nomen omen). Il suo compito nella vita, la sua missione, è quindi quello di rendere felici gli altri e in questo egli trova la sua felicità.
Nella favola della Rohrwacher, come in ogni favola che si rispetti, tutto è possibile; infatti di Lazzaro nessuno sa da dove venga, non invecchia mai, sopravvive a una caduta mortale, non soffre il freddo anche se gira in maglietta quando nevica, non mangia quasi mai. E’ quindi un essere sovrannaturale che impersona il Bene assoluto, un Bene che cozza brutalmente con il Male della società moderna. All’inizio del racconto l’incontro con la modernità è molto limitato. Sfruttato fra gli sfruttati anzi, come cinicamente nota la marchesa Alfonsina de Luna (Nicoletta Braschi) "sfruttato dagli sfruttati”, Lazzaro si muove a suo agio in una società agricola di tipo primo-novecentesco nella tenuta “L’Inviolata”, tale di nome e di fatto poiché dimenticata da Dio e dagli uomini tranne che dalla marchesa che la gestisce come un latifondista di vecchio stampo. E’ vero che tutti gli chiedono di tutto, ma lui lo fa volentieri ed è da tutti benvoluto. Il primo vero incontro con la modernità avviene con Tancredi (Luca Cikovani), figlio della marchesa, che intrattiene con Lazzaro un rapporto caratterizzato da momenti di apparente amicizia (arriva a dire di essere suo fratellastro) alternati a momenti di aperto dileggio e insulto. Solo quando Lazzaro, alla ricerca di Tancredi dopo il patatrac finanziario della famiglia de Luna, giunge nella metropoli la situazione si scompensa. Lì, nonostante la rete protettiva di un gruppo di ex lavoranti dell’Inviolata che vi ritrova, egli è alla mercé della cattiveria e del cinismo di vecchie conoscenze come Tancredi stesso (Tommaso Ragno da adulto) che lo raggira crudelmente approfittando dell’affetto che Lazzaro prova per lui. E nemmeno in ambiente religioso trova la bontà poiché, entrato in chiesa per sentire la musica che aveva percepito in lontananza, viene allontanato con fermezza dalle suore perché: “E’ una funzione privata!”. Per questo poi le suore vengono punite da un guasto irrimediabile dell’organo che non permette di proseguire il concerto. E infine, quando si reca in banca per recuperare il denaro che nella falsa versione dell’amante di Tancredi era stato sottratto alla marchesa (in realtà si trattava di una bancarotta fraudolenta), Lazzaro, che pure ignora cosa sia una bancarotta ma crede ciecamente al suo prossimo, viene brutalmente linciato da una piccola folla che lo ritiene un rapinatore armato di pistola, mentre invece si trattava solo di una semplice fionda infilata nella tasca posteriore dei pantaloni. Non possiamo esserne certi, ma con ogni probabilità Lazzaro muore in quel linciaggio, muore ma non scompare, trasmigra nel lupo che vediamo allontanarsi sull'asfalto fra le automobili. I lupi, come avevamo appreso da una storia narrata all'Inviolata, sono in grado di riconoscere le persone buone e non fanno loro del male e già una volta infatti Lazzaro, svenuto dopo la caduta rovinosa, era stato annusato da un lupo senza essere aggredito. In conclusione la regista sembra farci notare tristemente come nella società moderna e civilizzata il detto latino “Homo Homini Lupus” si debba leggere “Homo Homini Homo”. Non dobbiamo però lasciarci sedurre dalla tesi che che solo il moderno sia il Male e solo l’antico sia il Bene, pensiamo ad esempio al cosiddetto "Massacro di Nataruk”, dal nome della località keniota dove sono recentemente emersi i resti di un eccidio perpetrato circa 10.000 anni fa in cui sono stati ferocemente massacrati anche donne gravide e bambini. L’archetipo dell’Ombra quindi cammina probabilmente al nostro fianco da sempre.
“Lazzaro Felice” sarà senz’altro apprezzato dallo spettatore che ama la fantasia e che non prende a tutti i costi per melassa i sentimenti semplici, che riesce insomma a ritrovare in sé un altro archetipo, cioè il Fanciullo. Ma anche lo spettatore più “quadrato" e con i piedi per terra non potrà non essere colpito dal volto di Lazzaro, dalla bontà e dall’ingenuità, intesa in senso buono, che il bravo Adriano Tardiolo riesce a comunicarci.
Nessun commento:
Posta un commento