Dopo aver affrontato criticamente il tema della responsabilità personale in "Forza Maggiore" (2014), Ruben Östlund mette a fuoco in “The Square” (2017) una serie di tematiche relative alla vita nelle moderne società occidentali. A questo scopo utilizza come filo conduttore le vicende del direttore del museo di arte contemporanea di Stoccolma, Christian, interpretato da Claes Bang, intellettuale di bell’aspetto, dalla parlantina sciolta e molto à la page (guida ad esempio una Tesla, a dimostrare la sua attenzione ai temi ambientali), narrate con un umorismo surreale che ricorda un altro regista scandinavo, il geniale Aki Kaurismäki. L’originalità dell'approccio di Östlund, rispetto alle molte pellicole dedicate soprattutto negli anni 60-70 alla critica della società moderna, risiede nell’evidenziare come ogni aspetto del nostro vissuto possa essere valutato criticamente in modi diametralmente opposti. Un primo esempio è rappresentato, all’esordio del film, dall’ultimo pezzo acquisito da Christian per il museo, l'installazione “The Square” che dà il titolo al film, un quadrato all’interno del quale nell’intenzione dell’autrice "regnano la fiducia e l’altruismo”. Ottima idea, peccato però che il simbolo del quadrato indichi sì inclusione, per chi ci sta dentro e quindi gode di fiducia ed altruismo, ma anche esclusione, per chi ne resta fuori. Ed anche per quanto riguarda il rapporto con gli ultimi della società, cioè mendicanti ed immigrati, tema che affiora più volte nel corso della narrazione, se è vero che nella maggior parte dei casi Östlund parteggia per i reietti, è anche vero che non manca di sottolineare che l’ordine dei fattori nell’equazione mendicante-benestante si può invertire, quando ci mostra una mendicante che chiede in carità un panino con il pollo e lo pretende però senza cipolla, facendoselo anche servire al tavolo da Christian. E ancora, nella conferenza stampa dedicata allo spot volto a propagandare l’installazione del quadrato, che vede protagonista una piccola mendicante, Christian viene bersagliato violentemente da richieste sia di abolire lo spot, a causa dello sfruttamento dell’immagine della povera piccina, che di non abolirlo, per non ledere la libertà di espressione, ed è veramente ironico che entrambe le tesi vengano sostenute da applausi convinti da parte del pubblico! Il pubblico appunto, un altro aspetto affrontato dal regista riguarda ciò che ai nostri giorni viene offerto al pubblico come opera d'arte; che Östlund sia piuttosto scettico sul valore di un certo tipo di arte contemporanea è piuttosto chiaro se pensiamo a come viene gestita l’installazione che rappresenta piramidi di ghiaia o alla scena in cui un artista che espone al museo viene intervistato da una collaboratrice di Christian in merito alle sue opere. Ne deriva un profluvio di affermazioni intellettualoidi totalmente prive di qualsiasi significato. Ebbene, questa intervista è continuamente interrotta dal turpiloquio irrefrenabile di un personaggio affetto da sindrome di Tourette, presente nel pubblico, che con le sue esclamazioni volgarmente spregiative sottolinea l'assurdità di questo teatrino delle vanità vuoto, artificioso ed autoreferenziale. Il ruolo del soggetto psichiatrico, per definizione collocato al di fuori degli schemi sociali, nel rivelare oggettivamente l’essenza delle cose al di là degli abbellimenti formali è stato utilizzato anche in passato nel cinema, come ad esempio con l’autistico John Givings (Michael Shannon) in "Revolutionary Road” (Sam Mendes, 2008) che rivela con crudezza tutto ciò che è nascosto sotto la patina di rispettabilità nel rapporto fra i due protagonisti. Il prototipo di questa figura è però il bimbo innocente (e quindi anche lui fuori dagli schemi sociali, al pari del soggetto psichiatrico) che nella fiaba di Andersen “I vestiti nuovi dell’imperatore” (1837) rivela ciò che tutti vedono ma non possono/vogliono ammettere e cioè che il re è nudo.
Östlund ci ricorda insomma che la vita è difficile, che ogni scelta che facciamo è criticabile e che, nonostante il senso di controllo su cui crediamo di poter contare, possono apparire minacce insospettate che non siamo in grado di fronteggiare, come ad esempio nel corso della esibizione durante la cena di gala al museo che da pseudo-minacciosa si trasforma inaspettatamente in veramente minacciosa. Questa incertezza è ben espressa dal poeta americano Robert Frost (1874-1963) nell’incipit della sua poesia “La strada non presa”:
Due strade a un bivio in un bosco ingiallito,
Peccato non percorrerle entrambe,
Ma un solo viaggiatore non può farlo,
Guardai dunque una di esse indeciso,
Finché non si nascose al mio sguardo...
Se potessimo percorrere in anticipo entrambe le strade non avremmo dubbi su quale scegliere, la nostra condizione umana ci permette però, per restare nella metafora di Frost, di cercare di scrutarle il più a fondo possibile e poi scegliere quale percorrere, consapevoli della nostra fallacia.
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