Lee Gates (George Clooney,
perfettamente a suo agio nella parte) è l‘istrionico conduttore di una
trasmissione televisiva sul mondo della finanza diretta non agli addetti del
settore bensì al “parco buoi”, cioè ai piccoli investitori che vengono indotti
da Lee ad acquistare azioni con toni e metodi da avanspettacolo. Lo show
pacchiano e volgare di Lee viene però presto interrotto dall’ingresso in studio
di Kyle Budwell (il bravo Jack O’Connell) armato di pistola e giubbotto
esplosivo, che fa subito indossare a Lee minacciando di farlo esplodere,
inferocito per aver perso l’eredità della madre a causa dell’acquisto di titoli
consigliati da Lee ed in seguito rivelatisi spazzatura. A questo punto Jodie
Foster cambia il registro del film, passando dalla commedia al thriller
claustrofobico condito però con digressioni in Africa, Islanda, Corea (il mondo
della finanza non ha limiti) per poi giungere significativamente a termine
nella Federal Hall di Manhattan, al 26 di Wall Street.
Di questo film non interessa tanto
il tema della opacità dei metodi dell’alta finanza (non a caso la ditta che ha
causato la rovina di Kyle si chiama “IBIS Clear Capital”, dove “clear” è
ovviamente l’opposto di opaco e IBIS ricorda l’uccello del poemetto di
Callimaco di Cirene che usava cibarsi di qualsiasi animale) e delle conseguenze
che essi possono avere sui piccoli investitori. Fin dai tempi del crack di
Lehmann Brothers nel 2008 passando per Indignados spagnoli e Occupy Wall Street
americani questo tema è stato già ripetutamente trattato. Più interessante il
ruolo dei media e in particolare della televisione. All’inizio del film è complice
(involontaria si direbbe) della grande finanza nel turlupinare gli investitori,
in seguito, dopo lo shock iniziale dell’arrivo in studio di Kyle, riprende
gradualmente l’iniziativa organizzando con grande professionalità uno show
sulla vicenda, per prendere alla fine le parti del piccolo investitore contro
Walt Camby (Dominic West), amministratore delegato della famigerata IBIS.
Certo, ciò avviene con sfumature diverse: mentre la regista dello show Patty
Fenn (Julia Roberts), logica e razionale, conduce il divenire imprevisto della
trasmissione con mano strettamente professionale, Lee si avvicina gradualmente
a Kyle sul piano umano non tanto per una manifestazione della sindrome di
Stoccolma quanto a causa della combinazione di due eventi: da un lato la
simpatia per Kyle che, oltre ad avere un lavoro sottopagato ed aver perso
recentemente sia la madre che la sua eredità nel giuoco della azioni, ha una compagna (incinta)
che, messa in diretta TV dalla polizia nel tentativo di convincerlo ad
arrendersi, non esita invece a rovesciargli addosso una montagna di contumelie
indicandolo al mondo come il peggiore dei falliti. Dall’altro Lee ha modo di
constatare la propria pochezza: tre divorzi e una figlia di cui non sa nemmeno
l’età, alimenti da pagare e per di più, quando cerca sempre in diretta di
convincere il mondo a porre mano al portafogli ed acquistare azioni della IBIS
per rimborsare gli azionisti e soprattutto per salvargli la vita (iniziativa
apparentemente geniale del capitalismo finanziario che riesce a rinascere dalle
sue ceneri) si rende conto sia di non essere capace di fare il suo mestiere sia
che nessuno vuole spendere un centesimo per salvargli la vita. Le due miserie
quindi si incontrano.
E che dire del mondo, che fino ad
ora abbiamo visto apparire come comprimario delle vicende che si snodano sullo
schermo? Anche qui Jodie Foster ha molto da dirci dei tanti mondi che ci
mostra: quello dei geni di Internet, gli hacker di Reykjavik e i programmatori
di Seul che forniscono alla finanza (ma anche all’informazione) gli strumenti
necessari, quello dei minatori sudafricani, povera gente che sciopera non
avendo la minima idea che il loro sciopero è manovrato dall’alta finanza per
investimenti da centinaia di milioni di dollari (800 per l’esattezza) ed infine
quello della gente che guarda la TV, ragazzi, pensionati, casalinghe, broker in
giacca e cravatta che a casa o al bar seguono sugli schermi televisivi la
vicenda di Lee e Kyle. Quali sono le reazioni di queste persone? Dopo i primi momenti
di incredulità, apprensione, preoccupazione scatenate dai colpi d’arma da fuoco
sparati nello studio da Kyle, ben presto la vicenda assume agli occhi degli
spettatori caratteristiche da reality show, almeno fino all’epilogo. Per
qualche secondo allora tutto si ferma, come se finalmente ci si fosse resi
conto che quello che si andava dipanando sugli schermi coinvolgeva persone
vere, fatte di carne e sangue e dotate di sentimenti ed emozioni. Ma tutto ciò
dura appunto solo qualche secondo, gradualmente i giocatori di bigliardino
riprendono la loro partita, gli avventori del bar a chiacchierare e a
maneggiare i cellulari e la vita riprende il suo corso, come se niente fosse,
come se nulla potesse fissarsi nella mente e nell’anima di una umanità apparentemente
condannata all’effimero.
E infine, quali sono le motivazioni
che hanno spinto il povero Kyle ad organizzare e realizzare la sua impresa? Nel
corso del film gli vengono offerti soldi a più riprese sia da Lee che dalla
IBIS, ma lui non li vuole, anzi queste proposte lo innervosiscono di più.
Quello che vuole lo vedremo verso la fine del film e si tratta semplicemente di
una ammissione da parte dell’amministratore delegato di IBIS di aver fatto
qualcosa di sbagliato nel manipolare disonestamente i soldi degli investitori,
una motivazione disarmante nella sua umana semplicità, in netto contrasto con
la lotta per il potere e il denaro che rappresenta l’unica regola di vita nell’ambiente
finanziario. Solo questo voleva Kyle e
questo otterrà, per quanto ad un prezzo assai alto.
In chiusura, mentre il ritorno al “business
as usual” è confermato dalla trasmissione al telegiornale delle notizie di
borsa accompagnate da un vago accenno a indagini in corso sulla IBIS Clear
Capital, la regia ci suggerisce l’unica nota positiva del film, e cioè l’inizio
di una intesa affettuosa fra Patty e Lee, a significare che solo nei rapporti
privati questa umanità riesce ancora ad essere veramente umana.
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