martedì 4 giugno 2024

“I Dannati”, Roberto Minervini (2024)

Quest'opera di Roberto Minervini si aggiunge ad una lunga lista di film sulla guerra spesso caratterizzati da una particolare prospettiva in merito al tema. Pensiamo ad esempio a “Orizzonti di gloria" (Stanley Kubrick, 1957) che narra la follia delle decisioni prese dagli alti comandi con le relative conseguenze catastrofiche per i soldati, a “Salvate il soldato Ryan" (Steven Spielberg, 1998) che sottolinea l'importanza della vita del singolo individuo nella massa informe della truppa e che va ricordato anche per il terrificante realismo con cui rende lo sbarco in Normandia, o a “1917” (Sam Mendes, 2019) che utilizza la trama bellica per raccontare una storia di formazione, narrando come l'esperienza della guerra cambi radicalmente (in positivo) il modo di un singolo soldato di vivere la vita.

Il film di Minervini narra la storia di un battaglione di soldati confederati (siamo nel 1862, durante la guerra civile americana) mandati ad esplorare territori ad ovest. Un tema rilevante della narrazione è la fatica del "lavoro" quotidiano della guerra, aspetto già evidente nel poster a fianco che ci mostra di spalle soldati in colonna che procedono ingobbiti sotto un cielo grigio e nuvoloso verso un orizzonte senza fine, destinati ad una fatica di Sisifo di cui non è a loro del tutto chiaro il senso. E che il senso non sia chiaro, o comunque non uguale per tutti, è evidente dai dialoghi fra questi soldati, dialoghi scarni ed essenziali, che ci spiegano perché essi, ragazzi e adulti, hanno deciso di arruolarsi. C’è chi cercava un'occupazione, chi ha voluto seguire il padre, chi ritiene di aver fatto una scelta eticamente giusta, chi adduce una motivazione religiosa. Minervini insiste inoltre, ed è anche questa una caratteristica di quest'opera, sul freddo e la sporcizia che questi uomini sembrano dare per scontati, da essi non sentiamo mai infatti un lamento, come se sapessero di essere condannati a questa vita (ma il regista li definisce giustamente dannati cioè destinati a ciò che vivono e non condannati, termine che implicherebbe invece una punizione con conseguente possibilità di redenzione). Insieme a queste tematiche, la guerra anche qui compare, con una lunga sequenza su uno scontro a fuoco della quale vale la pena sottolineare due aspetti. In primo luogo il diverso atteggiamento dei vari soldati: chi si getta all'attacco, chi sta al riparo e da lì spara, chi si rifugia in una buca finché tutto finisce, il tutto per dirci che in condizioni estreme, nonostante la comune appartenenza, riemerga l'individualismo. L’altro aspetto importante è l'anonimità del nemico: i soldati sparano verso fiammate che provengono dai cespugli ma non hanno la minima idea di chi siano le persone cui stanno sparando, un’altra assurdità della guerra: uccidere sconosciuti che nella vita normale potrebbero esserci indifferenti o addirittura essere nostri cari amici. Fortunatamente il regista ci lascia alla fine con una nota di ottimismo, quando in chiusura uno dei due soldati mandati in avanscoperta alza lo sguardo al cielo sotto una nevicata mista ad un tenue raggio di sole ed esclama: "Che serenità!" per farci ricordare che la speranza, ultima dea, non deve mai essere abbandonata poiché anche la guerra, come il tempo gelido e nuvoloso che ha accompagnato i protagonisti per tutto il film, passerà. 

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