giovedì 30 maggio 2024

"Mr Ripley: variazioni sul tema fra 1960 e 2024"

La saga di Tom Ripley, ispirata ai 5 romanzi scritti da Patricia Highsmith a partire dagli anni ’50, è costituita da tre produzioni principali, oltre ad alcuni sequel opera di registi importanti fra cui Wim Wenders e Liliana Cavani, rappresentate in ordine cronologico da due film, “Delitto in pieno sole” (René Clément 1960) e “Il talento di Mr Ripley” (Anthony Minghella, 1999) e dalla recente serie Netflix “Ripley” (Steven Zaillian, 2024).

Il nocciolo della storia è lo stesso nelle tre opere: Tom Ripley è un ladruncolo di mezza tacca che viene fortuitamente incaricato da un ricco americano, Mr Greenleaf, di riportare a casa il figlio che vive in Italia insieme alla fidanzata Marge nell’ozio e negli agi a carico del padre. Una volta giunto in Italia e introdottosi con l'inganno nell’ambiente di Greenleaf junior, Ripley si rende ben presto conto di poter manipolare la situazione a proprio vantaggio quindi lo uccide e, sfruttando la propria abilità di falsario, ne assume l'identità, passando il resto della narrazione a sfuggire alla polizia. Se è vero che la struttura della vicenda è la stessa nelle tre produzioni, vi sono dei particolari più o meno evidenti che le distinguono, in particolare per quel che riguarda la figura di Ripley. 

L’aspetto comune alle tre versioni è il desiderio mimetico nella definizione di René Girard; in sintesi, il filosofo francese propone che ogni essere umano provi il desiderio di qualcosa perché la vede in possesso di altri; ciò implica in qualche misura il desiderio di essere come colui che possiede la cosa, da cui il termine “mimetico”. In aggiunta al desiderio mimetico interviene in un secondo tempo l’odio per colui che possiede la cosa desiderata, se non si riesce ad ottenerla. Ripley ambisce ad ottenere lo status socio-economico di Greenleaf jr (a dimostrazione di ciò vedi il tentativo puerile di imitarlo contemplandosi allo specchio con addosso i suoi abiti), ma non ha modo di farlo a meno di ucciderlo e prendere la sua identità; in questo modo la mimesi diviene perfetta. Iniziamo a questo punto a vedere qualche differenza fra le tre versioni. In quella di Clément Ripley si rende conto, ascoltando una conversazione fra Greenleaf jr e Marge, che il primo si è stancato di averlo fra i piedi, in quella di Minghella Ripley è sessualmente attratto da Greenleaf jr, ma viene da lui bruscamente respinto, mentre in quella di Zaillian Greenleaf jr sbeffeggia platealmente i gusti di Ripley (vedi la vestaglia da lui scelta). Si tratta ovviamente in ognuno di questi casi di motivi che aumentano l'odio di quest’ultimo per il primo. 

Altre due differenze significative le troviamo nella scelta dell’attore per la parte di Tom e nell’ambientazione. Clément e Minghella optano per attori di bell’aspetto (Alain Delon e Matt Damon, rispettivamente), allegri e ciarlieri e per una ambientazione estiva e soleggiata, mentre Zaillian sceglie un attore di aspetto dimesso (Andrew Scott), quasi impiegatizio, ed una ambientazione invernale, esaltata dall’impiego del bianco e nero. Sicuramente la scelta di Zaillian è la più audace, non potendo contare sull’attrazione esercitata da splendidi e soleggiati paesaggi italiani (soprattutto per il pubblico estero) e su protagonisti fascinosi, ma è anche la più efficace nel rendere quella che Hannah Arendt, a proposito dei gerarchi nazisti, definì la banalità del male cioè la mancanza di grandiosità che spesso caratterizza chi compie azioni efferate ed i processi mentali di Ripley, mai allegro e ciarliero, ma sempre concentrato nel programmare le prossime mosse di una vita pericolosa in fuga perenne, non a caso paragonata a quella di Caravaggio, anch’egli assassino e fuggitivo, per le cui opere Ripley nutre un’attrazione ossessiva.





 

giovedì 16 maggio 2024

“Delta”, Michele Vannucci (2022)

Questa storia drammatica, dura come l’ambiente in cui si svolge vale a dire le nebbie del delta del Po d'inverno, ha contenuti molto interessanti che vale la pena considerare.

Sullo sfondo prevale la disperazione dettata dalla miseria. I pescatori di frodo rumeni, costretti a trasferirsi nel delta perché braccati in patria dalla polizia, Anna (Emilia Scarpati) che, alla disperata ricerca di un rapporto d’amore dopo il fallimento del matrimonio con Osso (Luigi Lo Cascio), si getta d'impulso nelle braccia di Elia (un ottimo Alessandro Borghi), pescatore di frodo locale del cui passato nulla sappiamo e che ora vive e lavora (“Sono la mia famiglia” dice) in una baracca sul fiume con i pescatori rumeni. E la miseria porta alla rabbia, in preda alla quale alcuni pescatori italiani incitano amici e colleghi all’eliminazione fisica dei rumeni. 

In questo mondo di gente che non ha nulla è paradossalmente forte il valore della proprietà. Quante volte sentiamo il capo dei rumeni esclamare “Questa è la mia casa”, casa in cui peraltro si era installato abusivamente, quante volte i pescatori italiani affermano che il Po è il loro fiume, anche questa una affermazione priva di senso. Queste dichiarazioni di possesso ci fanno capire come sia molto difficile, se non impossibile, soprattutto in condizioni di depressione economica, realizzare condivisione ed integrazione. È questo un tema di grande attualità, basti pensare alle difficoltà legate ai fenomeni migratori.

Un ultimo aspetto da sottolineare è quello morale, che possiamo ricavare dal comportamento di Osso. Per tutta la prima parte del film egli svolge il suo ruolo di guardia ittica volontaria con estremo rigore e rispetto delle leggi, cercando in modo ossessivo di essere obiettivo, fino a ritenere che la morìa di pesci non sia dovuta alla pesca di frodo ma agli scarichi delle industrie. Egli si oppone quindi alla combattiva sorella Nina (Greta Esposito) che parteggia per chi vuol farsi giustizia da solo. Ma nel finale drammatico tutto cambia. L’uccisione di Nina da parte di Elia ad un posto di blocco stravolge le convinzioni di Osso che arriva ad uccidere Elia per pura vendetta, per di più sparandogli alle spalle. Questa è la conclusione pessimistica: nessuno è in grado di dominare gli istinti peggiori, conclusione che Elia sintetizza prima di morire in una  frase semplice ma densa di significato “Passiamo la vita a combattere contro noi stessi per diventare migliori, ma siamo quello che siamo”. A queste parole sembra fare eco il paesaggio, per buona parte del film cupo e nebbioso, ma che in una breve sequenza viene ravvivato dal volo dei fenicotteri in una giornata di sole, come per volerci dire in metafora che anche la natura combatte contro se stessa per essere migliore.