Un'immagine può essere apprezzata per le sue qualità puramente estetiche ("mi piace"), ma in essa esistono anche significati che possono non essere immediatamente colti, soprattutto in un mondo pieno di immagini come quello in cui viviamo. E' quindi necessario prendersi il tempo per entrare nell'immagine (in questo blog in particolare, ma non solo, cinematografica) alla ricerca di questi significati.
venerdì 18 novembre 2016
GENIUS, Michael Grandage 2016
"Genius" non è un biopic su Thomas Wolfe (1900-1938), uno dei più importanti scrittori americani del '900. E' piuttosto la storia della relazione fra due individui completamente diversi, quali lo stesso Wolfe (Jude Law) e Maxwell Perkins (Colin Firth), caporedattore ("editor") della storica casa editrice Scribner's Sons, che si prende cura delle opere di Wolfe per deciderne la forma e la eventuale pubblicazione.
La regia di Michael Grandage conferisce al film un piglio teatrale, centrato sui dialoghi, adatto allo svolgersi di una vicenda focalizzata sul rapporto, spesso conflittuale, fra i due personaggi: Wolfe esuberante, egocentrico, con una vita sentimentale burrascosa e Perkins posato, riflessivo, buon padre di famiglia. Oltre all'aspetto professionale, i due sono anche legati da una parte dal desiderio insoddisfatto di Perkins di avere un figlio maschio e dall'altro dalla mancanza di una adeguata figura paterna di riferimento per Wolfe. E da questa prospettiva il primo appare spesso come un padre bonario che cerca di tollerare e moderare l'esuberanza di un figlio il quale all'inizio si presenta (strumentalmente) sottomesso e disposto a tutto pur di vedere pubblicate le sue opere, mentre in seguito, una volta raggiunta la fama, dimostra una crescente intolleranza nei confronti dell'agire di Perkins, un pò come i figli adolescenti si comportano con i padri.
Vista la diversità di questi personaggi, viene spontaneo chiedersi chi fra i due abbia per così dire la meglio, ovvero chi riesca a modellare l'altro su di sé. Inizialmente l'impressione è che l'esuberanza di Wolfe faccia presa su Perkins (vedi la scena nel jazz club), ma gli eccessi dello scrittore (ad esempio durante la cena con Francis Scott e Zelda Fitzgerald) portano in seguito Perkins ad allentare il rapporto. Inoltre, la lettera finale di Wolfe esprime chiaramente il desiderio/rimpianto di una esistenza in cui le relazioni interindividuali non siano caratterizzate dall'egocentrismo e dalla mancanza di empatia che hanno caratterizzato la sua breve vita, avvicinandosi così alla "Weltanschauung" di Perkins. Ad ulteriore conferma del prevalere di quest'ultimo, la colonna sonora ci propone una romantica canzone scozzese ("Flow gently sweet Afton") che esalta i valori tradizionali della natura e dell'amore, composta nell'800 su un testo fine-settecentesco di Robert Burns e molto amata da Perkins. Questa canzone, che non a caso richiama nel titolo (l'Afton è un fiume della Scozia) uno dei romanzi di Wolfe: "Of Time and the River", viene ripetuta alla fine del film e ancora durante i titoli di coda, come a testimoniare l'importanza di questi valori, riscoperti alla fine dallo stesso Wolfe.
Un altro interessante, e più originale, aspetto del rapporto fra i due protagonisti scaturisce dalle loro funzioni: scrittore l'uno, redattore l'altro. Se è vero che i manoscritti di Wolfe, eccedenti abbondantemente le mille pagine, richiedevano l'intervento di un redattore per renderli pubblicabili, è anche vero che in teoria l'intervento di quest'ultimo può invadere il campo dell'autore fino a snaturare l'opera arrivando a reclamarne almeno in parte la paternità. E in effetti non ha tutti i torti Wolfe quando, nell'affrontare questo argomento, chiede provocatoriamente e con l'usuale veemenza a Perkins come si sarebbe comportato con le quasi 1500 pagine di "Guerra e Pace". Il problema c'è e la soluzione sta naturalmente in un ragionevole compromesso fra autore e redattore che, come il film dimostra, può non essere facile da raggiungere.
Che dire delle figure femminili (la moglie di Perkins, Laura Linney, e la compagna di Wolfe, Nicole Kidman)? Che sono nettamente in secondo piano rispetto ai due uomini, come probabilmente si confaceva alla società degli anni '20, e che riflettono le caratteristiche dei loro compagni: dolce e remissiva la prima, ribelle e teatrale la seconda, entrambe però unite nel tentativo di scindere il legame creatosi fra Perkins e Wolfe per tutelare, rispettivamente, il proprio matrimonio e la propria unione.
In conclusione, chi può apprezzare questo film? Sicuramente gli appassionati di lettura e di letteratura, quest'ultima in particolare, ma non solo, americana, e anche chi è interessato ai risvolti psicologici delle relazioni umane.
venerdì 4 novembre 2016
Cinema e Pittura
La Migliore Offerta, Giuseppe Tornatore 2013 |
Iniziamo con "Wall Street" di Oliver Stone (1987). Delle numerose tele che compaiono in questo film, ricordiamo "Le Matador 1" di Picasso che compare alle spalle di Gordon Gekko (Michael Douglas) durante un colloquio con Bud Fox (Charlie Sheen).
Le Matador 1, P. Picasso 1970 |
Il biglietto da venti dollari, R. Birmelin 1986 |
Saturno che divora il figlio, F. Goya 1819-1923 |
Senza titolo n. 153 (Buffalo), S. Johan 2008 |
Lasciamo Oliver Stone e passiamo a Martin Scorsese, "L'età dell'Innocenza" 1993, tratto dall'omonimo libro di Edith Wharton. Il quadro senz'altro più famoso di questa pellicola è "L'Arte, la Sfinge, le Carezze", dipinto peraltro 15-20 anni dopo il periodo storico nel quale si svolgono gli eventi oggetto del film .
L'Arte, la Sfinge, le Carezze, F. Khnopff 1896 |
Hush! (the Concert), J. Tissot 1875 |
Passiamo ad un film meno impegnativo: "Il grande Lebowski" di Joel Cohen (1998). Il protagonista Jeffrey Lebowski (Jeff Bridges) vive una vita al di fuori degli schemi convenzionali, fatta di partite di bowling, marijuana e liquori. Cosa c'è quindi di meglio per un regista provocatore e dissacrante di inserire nel film un poster che ritrae Richard Nixon, emblema dell'establishment nella sua veste più corrotta, mentre giuoca a bowling mentre "Drugo" si prepara l'ennesimo "White Russian"?
L'ironia è anche maggiore se si considera che quel poster fu commissionato dallo staff della Casa Bianca per dare di Nixon un'immagine rassicurante e vicina all'uomo della strada!
"Skyfall" (Sam Mendes 2012), penultima opera della saga di James Bond, ci offre l'opportunità di esaminare due quadri di simile concezione che sottolineano due situazione diverse del film. William Turner dipinse il primo (in ordine di comparsa nel film, ma cronologicamente secondo) nel 1838:
La valorosa Téméraire trainata al suo ultimo ancoraggio per essere demolita, W. Turner 1838 |
James Bond (Daniel Craig) è seduto su una panca alla National Gallery di Londra; lo raggiunge il giovane "Q" (Ben Winshaw) e fra i due inizia una schermaglia verbale imperniata sulla differenza di età e sui metodi anacronistici utilizzati da Bond. Il quadro che vediamo sullo sfondo è una metafora ben precisa di questa situazione: vi è ritratta una vecchia e gloriosa nave da guerra, la Téméraire trionfatrice nella battaglia di Trafalgar, portata alla demolizione, analogamente a quello che sembra essere il destino di Bond. Il cuore di Turner è probabilmente dalla parte della vecchia nave, dipinta in chiaro, mentre il rimorchiatore è ritratto con colori scuri ed emette orrendi pennacchi di fumo nerastro. Il tutto alla luce del tramonto che accentua l'idea della fine di qualcosa. Ma alla fine del film le cose cambiano radicalmente: il colloquio fra l'appena nominato "M" (Ralph Fiennes) e Bond nello studio del primo suggella la vittoria dei vecchi metodi di Bond, il tutto sottolineato dal quadro che compare sullo sfondo fra i due:
La HMS "Victory" pesantemente impegnata nella battaglia di Trafalgar, T. Buttersworth 1825 |
Restiamo in Inghilterra con Danny Boyle e il suo "In Trance" (2013). Questa volta il quadro di Goya (Volo di streghe, 1798)
Volo di streghe, F. Goya 1798 |
E giungiamo alla conclusione con un film recente, "Julieta" di Pedro Almodovar (2016). In un momento di grande tensione emotiva per la protagonista Julieta (Emma Suarez), angosciata dalla incapacità di mettersi in contatto con la figlia e tormentata dai dubbi in merito al perché della sua scomparsa tanto improvvisa quanto apparentemente immotivata, Almodovar ci mostra fugacemente un autoritratto di Lucian Freud che sottolinea efficacemente, accostato al viso tormentato di Julieta,
Autoritratto, L. Freud 1985 |
Il rapporto fra pittura e cinema, come ho cercato di dimostrare con questo breve articolo, è quindi ricco e molto interessante. Nel vedere un film (a mio parere in seconda visione poiché nella prima la valutazione dello spettatore è spesso e giocoforza una valutazione d'insieme in cui i dettagli possono sfuggire) val quindi la pena di notare particolari quali appunto i quadri che permettono di apprezzare con maggior completezza l'opera e rappresentano una occasione di approfondimento.
Iscriviti a:
Post (Atom)