Hirayama vive felicemente in un eterno presente fatto di gesti e situazioni uguali, ma non identiche: non a caso fotografa tutti i giorni lo stesso albero alla stessa ora, a dimostrare che nulla è identico da un giorno all’altro, un evidente richiamo al film “Smoke” (Wayne Wang, 1995). Il suo passato è oscuro, ma qualcosa si può intravedere dalle sue abitudini, ad esempio legge un autore non facile come William Faulkner ed è quindi persona colta. Inoltre, apprendiamo gradualmente di un distacco probabilmente traumatico dalla famiglia di origine, ma tutto ciò non lo turba e tutte le mattine lo vediamo uscire con un sorriso sulle labbra per pulire i bagni pubblici di Tokyo, possibile metafora della sua capacità di scrostarsi di dosso il passato. Ma, come dice appunto Faulkner, Il passato non è morto, anzi non è mai passato (Requiem per una monaca, 1951) e così avviene ad Hirayama, con la comparsa della nipote Nina che incrina la sue abitudini, ulteriormente incrinate dall’abbandono del suo collaboratore al lavoro e dall’incontro fra la proprietaria del bar che abitualmente frequenta e l’ex marito, come se il fatto di vederla abbracciata ad un uomo e non dietro il banco fosse un drastico cambiamento. E il film si chiude su una lunga inquadratura di Hirayama al volante del suo furgoncino mentre sul suo volto si alternano il sorriso ed il pianto, a significare che, volente o nolente, egli è tornato nelle vesti di un essere umano. Che la sua felicità perenne fosse fittizia ce lo dice in effetti anche l’assonanza fra il titolo del film e la canzone di Lou Reed che Hirayama ascolta, “Perfect Day”, il cui testo parla di un giorno appunto perfetto, ma solo grazie alla compagnia dell’eroina. In definitiva, l’utopia di vivere un eterno presente si disvela con estrema chiarezza.
Nicholas Winton vive invece in preda al ricordo del passato che anche in questo caso non passa. Egli non riesce infatti a dimenticare di non essere riuscito a completare il suo tentativo di portare in salvo in Inghilterra tutti i bambini ebrei di Praga, minacciati dall’incombente invasione della Cecoslovacchia da parte dei nazisti, nonostante fosse riuscito a salvarne più di 600. Per sua fortuna la vicenda viene a conoscenza dei conduttori di un programma della BBC (non a caso intitolato “That’s Life”: Questa è la Vita) che riescono a fargli incontrare in una puntata gran parte degli (ex)bambini da lui salvati, ora adulti felicemente sposati e con figli. Questo incontro rappresenta per Winton la presa di coscienza del bene che è riuscito a fare nell’unica vita ("One Life") che gli è stata concessa e lo riconcilia con i fantasmi del passato.
Come possiamo allora rapportarci con il passato ed il presente? A parte le ovvie differenze nella vita dei singoli individui, il presente, seppur fugace o addirittura inesistente come insegna Henri Bergson, è l’aspetto più importante della vita; se non si vive bene l’hic et nunc il qui ed ora, non si può essere felici, come ricorda Wislawa Szymborska nell’incipit della sua poesia “Disattenzione”:
Ieri mi sono comportata male nel cosmo
Ho passato tutto il giorno senza fare domande
Senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane
Come se ciò fosse tutto dovuto...
Ma il passato è necessario, senza di esso non è possibile interpretare il presente e costruire un futuro ed ecco infatti come Søren Kierkegaard ce lo ricorda Vivere nel ricordo è il modo più compiuto di vita che si possa immaginare; il ricordo sazia più di tutta la realtà e ha una certezza che nessuna realtà possiede. E quindi sta a noi trovare il giusto equilibrio nel vedere il passato, vivere il presente e naturalmente programmare il futuro.