Un'immagine può essere apprezzata per le sue qualità puramente estetiche ("mi piace"), ma in essa esistono anche significati che possono non essere immediatamente colti, soprattutto in un mondo pieno di immagini come quello in cui viviamo. E' quindi necessario prendersi il tempo per entrare nell'immagine (in questo blog in particolare, ma non solo, cinematografica) alla ricerca di questi significati.
venerdì 10 marzo 2023
“Empire of light”, Sam Mendes (2023)
Dalla commedia di Shakespeare “Pene d’amor perdute” viene la frase Find where light in darkness lies, “Trova la luce nell’oscurità” che vediamo incisa all’ingresso del cinema Empire sito sul lungomare di Margate nell’Inghilterra meridionale, ove si svolge, fra il 1980 e il 1981, la narrazione. Questa frase ha un significato importante ai fini dell'interpretazione del film. Pensiamo, per capirlo, alla serie di dipinti intitolata L’Empire des lumières di René Magritte (che probabilmente il regista ha avuto presente) che rappresenta paesaggi notturni sovrastati per contrasto da un cielo diurno, a sottolineare che la luce c’è anche nel buio, basta cercarla, proprio come intendeva Shakespeare. Ed eccola la luce che attraversa il buio della sala cinematografica e proietta sullo schermo “Oltre il giardino” (Hal Ashby, 1979) evocando in Hilary (Olivia Colman) un pianto gioioso e liberatorio. Il potere terapeutico dell’immagine filmica nel lenire la tragedia della vita, questo ci vuole comunicare il regista. Concetto questo che troviamo ampliato nel finale dell’ultimo romanzo di Michel Houllebecq “Annientare” (2022): Nous aurions eu besoin de merveilleux mensonges, “Avremmo avuto bisogno di meravigliose menzogne”, le meravigliose menzogne che l’arte e l’immaginazione ci forniscono per dimenticare il terribile grido che il satiro Sileno, nel dialogo con re Mida ricordato da Nietzsche ne “La nascita della tragedia” (1872), rivolge alla stirpe umana. Grido che riverbera identico in Death’s echo (1936) di W.J. Auden, poesia che Hilary recita durante una importante prima al cinema e nella quale la Morte ricorda letteralmente: “non esser nato è il meglio per l’uomo" ed esorta quindi nel verso finale a cercare un rimedio nella follia: “Balla, balla, balla finché non crollerai”. Ma tornando alla luce, ve n’è un’altra, questa volta metaforica, che illumina la triste vita di Hilary, vicedirettrice dell’Empire, donna di mezza età, sola, un rapporto difficile con i genitori alle spalle, preda delle voglie del viscido direttore Donald Ellis (Colin Firth) e verosimilmente affetta da sindrome bipolare, ed è l’arrivo di Stephen (Micheal Ward), giovane di colore, neo-assunto al cinema, con il quale instaura una relazione dapprima amichevole e poi amorosa, quest’ultima, come prevedibile data la differenza di età, destinata a non durare. La fine di questo amore porta Hilary ad un crollo psicologico profondo che culmina nel ricovero in un istituto psichiatrico. E a questo proposito fa riflettere la facilità con cui soggetti con disagio psicologico potevano essere emarginati attraverso l’internamento coatto, nel desiderio più o meno manifesto di "spazzare la polvere sotto il tappeto", cioè di nascondere il diverso, come ben spiega Michel Foucalt nella “Storia della Follia nell’età classica” (1961). E pensare che con un po’ di umanità ed un approccio fenomenologico al problema, come ha insegnato Karl Jaspers, tante situazioni di disagio si sarebbero potute risolvere senza ricorrere alla soluzione disumana dell'internamento. Ma dopo la crisi il passato deve morire, come muore l’anno vecchio ogni 31 dicembre, concetto che Hilary ricorda attraverso le parole della poesia di Tennyson Ring out wild bells (1850). E una volta morto il passato tutto ricomincia e Hilary lo fa presente a Stephen regalandogli una raccolta di poesie di Philip Larkin in cui gli segnala The trees (1967) che canta la rinascita della vegetazione all’arrivo della primavera, una metafora dell’inizio della nuova vita di Stephen come studente di architettura, cosa che, oltre a rappresentare la realizzazione di un suo sogno, lo allontana presumibilmente dalle violente manifestazioni di razzismo sopportate a Margate. E questa poesia ritorna nelle parole di Hilary nel finale, mentre sorseggia una tazza di the sul lungomare insieme al proiezionista Norman (Toby Jones) e all’impiegato Neil (Tom Brooke): “Ancora la chioma [degli alberi] s'agita nell’esuberanza di ogni maggio. L’anno passato è morto, sembran dire, orsù inizia di nuovo, di nuovo, di nuovo”, e sorride guardando all’orizzonte e progettando, ci piace immaginare, un futuro più felice.
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