venerdì 6 gennaio 2023

"Living", Oliver Hermanus (2022)

 

Mr Williams (Bill Nighy in una performance eccellente), burocrate del Greater London Council, freddo, compassato e talmente distaccato dal mondo da non viaggiare mai nello stesso vagone ferroviario con i suoi subordinati nell'andata e ritorno dal lavoro, riceve una diagnosi terribile: a causa di un cancro gli resta meno di un anno di vita. A partire da questo evento si dipana la narrazione su come Mr Williams affronterà il fine-vita, sulla scia del film di Akira Kurosawa Vivere (1952).
Il primo problema che si presenta a Mr Williams è condividere la notizia, ma con chi? Egli è vedovo, ha un figlio che, al pari della moglie, non sembra molto interessato ai suoi problemi, se non per una spiccata attenzione al patrimonio di famiglia, e non può contare sul supporto di qualche amico, non avendone alcuno a causa della sua estrema riservatezza. È quindi un uomo solo e che ha sempre voluto esserlo. Non trova quindi di meglio che parlarne con uno sconosciuto, Mr Sutherland (Tom Burke), un giovanotto incontrato in un bar. Questi gli suggerisce di dimenticare paure e dispiaceri immergendosi nella vita notturna, tra bar e locali di spogliarello. Come era prevedibile questo rimedio non funziona, tanto che il povero Mr Williams finisce per esibirsi in un locale cantando ai presenti una canzone tradizionale scozzese, Oh Rowan Tree, che riporta ai tempi della felice infanzia, uno sguardo al passato per esorcizzare la paura del futuro prossimo. Cosa resta allora da fare al nostro Mr Williams nell'attesa dell'ora che non ha più sorelle cioè l'ora della morte come la definisce Paul Celan? Grazie ad un fortuito incontro con una sua ex collaboratrice, Miss Harris (Aimee-Lou Wood), che gli fornisce il supporto emozionale di cui aveva bisogno, Mr Williams capisce che per lasciare l'esistenza terrena in modo soddisfacente dovrà prima portare a compimento qualcosa che aveva lasciato a metà per pura svogliatezza e disinteresse per gli altri, cioè realizzare la richiesta di costruire un campo-giuochi in una zona abbandonata della città, richiesta che tre donne avevano inoltrato al London Council  purtroppo inutilmente a causa di una serie di intoppi burocratici. Ed ecco che grazie alla tenacia inarrestabile che Mr Williams esibisce, il progetto si realizza ed egli potrà lasciare la vita terrena con un sorriso soddisfatto sulle labbra, dondolandosi sotto una nevicata su una delle altalene del nuovo campo-giuochi, avendo vissuto come vero essere umano e non come zombie (soprannome che gli aveva dato Miss Harris) gli ultimi suoi mesi. 
Il messaggio che ci lascia Mr Williams è quindi quello di affrontare la morte dopo aver completato il proprio dovere nel rispetto delle esigenze del prossimo e senza lasciare nulla di incompiuto, un messaggio controcorrente in un momento storico come l'attuale in cui ciò che si vuole fare viene regolarmente prima di ciò che si deve fare. Purtroppo questa lezione di vita non lascia nel film un segno duraturo: ben presto infatti il successore di Mr Williams, Mr Middleton (Adrian Rawlins), dimentico dei propositi pomposamente annunciati dopo il funerale, si dedica alacremente all'insabbiamento delle richieste inoltrate al suo ufficio, tanto "non farà male a nessuno". 
A parte la evidente derivazione dal film di Kurosawa, si è parlato di un'analogia fra questo film ed il romanzo breve di Lev Tolstoi "La morte di Ivan Il'ič" (1886), analogia che non convince. Ivan infatti muore riflettendo sulla sua vita, persa in inutili impegni sociali, e sul disinteresse della moglie per la sua dipartita (l'unico che ne è dispiaciuto è in effetti il giovane servitore Gerasim, nome che non a caso deriva dal greco "onorevole"), ma non si pone il problema di come affrontare la fine della vita, tema che è il vero perno del film. A mio parere è più calzante il paragone con "L'ora di tutti" (1962), romanzo di Maria Corti sulla presa di Otranto da parte dei turchi nel 1480, dove quest'ora è quella della morte, comune appunto ad ogni mortale, che rappresenta l'occasione ultima e più difficile di dimostrare la propria dignità di essere umano, in pratica di realizzare il Dasein, l'esserci heideggeriano, cui ognuno secondo il filosofo tedesco dovrebbe tendere, avendo sempre presente la finitezza della vita.