martedì 28 luglio 2020

Aspettando “TENET”: una sintesi della filosofia cinematografica di Christopher Nolan


Christopher Nolan (Londra 1970) è uno dei registi più interessanti degli ultimi vent’anni. Le tematiche dei suoi film sono affrontate con grande abilità e richiedono attenzione ed intuito da parte dello spettatore. Significativa al proposito è la domanda che in “The Prestige” Borden rivolge al figlio mentre gli propone un giuoco di prestigio: “Stai guardando con attenzione?”, domanda che in realtà è una richiesta di attenzione rivolta da parte del regista agli spettatori. Considerato che fra non molto potremo finalmente vedere l'ultima ed attesissima opera di Nolan, “Tenet”, è questo il momento per una riconsiderazione della produzione di questo regista.
Nolan esordisce nel 1997 con un cortometraggio di 3 minuti “Doodlebug” in cui già si ravvisa una delle caratteristiche della sua filmografia e cioè la messa in dubbio di una realtà che lo spettatore dava per scontata. Un anno dopo esce il suo primo lungometraggio “Following”, un noir in bianco e nero in cui troviamo un altro aspetto caratteristico della filmografia di Nolan e cioè il sovrapporsi di piani temporali in modo apparentemente caotico ma sempre in realtà consequenziale; per Nolan il concetto di tempo è relativo e lo ribadisce molto chiaramente nei successivi “Memento”, "Interstellar” e “Dunkirk”. In  “Following” emerge ancora un altro tema filosficamente rilevante, il desiderio per mimesi. Lo vediamo nel protagonista, un giovane spiantato il cui svago consiste nel seguire a caso persone che incontra per strada. Egli inizia a pedinare un passante che ha attirato la sua attenzione, Mr Cobb, arrivando ad identificarsi con lui e cercando di imitarlo in tutto e per tutto. E’ questo un chiaro esempio del ruolo della mimesi nel generare una delle due pulsioni di fondo del genere umano e cioè il desiderio, concetto già espresso da Aristotele e in seguito da Freud e poi ripreso ed ampliato al di là della sfera sessuale dal filosofo francese René Girard. In breve, il desiderio per qualcosa nasce nell’essere umano nel vedere quel qualcosa in qualcun altro, spingendolo in un certo senso a voler diventare come quest'altro (mimesi); questo desiderio deve essere soddisfatto per raggiungere la felicità. Non a caso a questo proposito Arthur Schopenauer ci dice che la vita è come un pendolo che oscilla dalla noia (mancanza di qualcosa da desiderare) al dolore (desiderio di qualcosa che non abbiamo) passando brevemente per attimi di felicità (conquista dell’oggetto desiderato, seguita subito dopo dalla ripresa di noia o dolore). La mancata soddisfazione del desiderio spiega secondo Girard la seconda pulsione innata nell’uomo e cioè l’aggressività, in particolare verso colei/colui che possiede ciò che desideriamo e non possiamo avere. Ed ecco che Nolan anche in “The Prestige” affronta con chiarezza questa tematica. Qui abbiamo due prestigiatori, Angier e Borden, desiderosi di impadronirsi ciascuno dei segreti dell’altro e disposti a tutto pur di riuscirvi e superare l’avversario in bravura e successo; ma oltre a questo parossismo di desiderio, in questo film Nolan affronta anche il concetto dell’identità, lo vediamo nel continuo sovrapporsi delle figure del sosia di Angier e del gemello di Borden, ma soprattutto nella folle impresa del primo, che grazie ad una macchina costruita da Nikola Tesla per duplicare gli oggetti (ricordiamo al proposito la spiazzante distesa di cappelli a cilindro della scena iniziale il cui significato ci è chiaro solo in seguito, in omaggio all’effetto Kulešev), crea ogni sera un suo replicante, destinato a morte per annegamento alla fine dello spettacolo di magia (ma giustamente Nolan gira il coltello nella piaga insinuando nella nostra mente il dubbio di chi sia colui che soccombe: l’originale o il replicante?). Già prima di "The Prestige” il tema dell’identità (e della realtà) era stato affrontato da Nolan in “Memento”, attraverso la peculiare forma di amnesia del protagonista Leonard che gli impedisce di ricordare gli eventi recenti costringendolo a tatuarsi addosso le cose che ritiene importanti da ricordare. In questo modo Nolan metaforizza il concetto della costruzione della propria identità, e di quella altrui, attraverso la memoria degli eventi, sottolineando gli errori che si possono compiere nell’interpretare (e poi ricordare) la realtà attraverso l'esperienza di Leonard che deve basare la sua ricostruzione della realtà sugli “appunti” che si tatua sul corpo (un analogo della memoria), appunti che talora però, come i ricordi, non corrispondono a quanto in effetti avvenuto. Cosa sia in effetti la realtà è anche un tema fondamentale di “Inception”, dove i protagonisti sono costretti a portare con sé una piccola trottola per ricordarsi se stiano vivendo un sogno o la realtà poiché la trottola finisce per cadere solo nel mondo reale. E nella scena finale quando il protagonista Mr Cobb (sì, si chiama proprio così anche lui) fa girare la trottola, Nolan ci lascia ancora nel dubbio: la trottola cadrà (è la realtà) o no (è un sogno)? 
Cosa rimane da dire dell’opera di questo regista? Dei temi della trilogia del Cavaliere Oscuro ho già scritto qualche mese fa su questo blog; merita un commento “Insomnia” che ritengo uno dei migliori film di Nolan. La scelta dell’Alaska con la sua luce perenne si adatta perfettamente all'insonnia del protagonista, il detective Dormer (nomen omen), che non chiude occhio per tutto il film, oppresso dal ricordo del passato ed in particolare dall’avere incastrato con false prove un killer seriale di bambini della cui colpevolezza era certo pur in assenza di prove. Anche qui emerge il tema dell'identità: per tutto il film l’identità di Dormer va da quella di mentore integerrimo conferitagli dalla giovane detective Ellie Burr a quella di collega criminale che gli attribuisce Walter Finch, l’omicida del quale Dormer è a caccia in Alaska. Questi vede in Dormer un suo analogo poiché gli attribuisce l’uccisione del collega detective Hap Eckart durante un inseguimento nella nebbia. Dormer ritiene invece di aver ucciso per sbaglio Hap, ciononostante fa di tutto per incolpare Finch dell’uccisione e Finch insinua quindi che la morte di Hap sia stata in realtà voluta da Dormer per evitare che, una volta tornati a Los Angeles, questi lo denunciasse agli Affari Interni per aver incastrato con false prove il killer seriale di bambini. Ancora una volta quindi la realtà è per Nolan qualcosa di sfuggente data la sua dipendenza da fattori soggettivi, e quindi diversi da individuo a individuo. 
Ed ora non ci resta che attendere “Tenet”, sulla cui trama vige il più stretto riserbo, per poi parlarne su questa pagina.