venerdì 20 marzo 2020

“Il Signor Diavolo”, Pupi Avati (2019)

Il Male è protagonista dell’ultimo film di Pupi Avati. Il Male, in questo caso il Diavolo del titolo cui viene aggiunto “Signor” in segno di rispetto come insegna ai comunicandi Gino il sagrestano (Gianni Cavina), coesiste da sempre in antitesi con il Bene e la religione dovrebbe rappresentare la sede di quest'ultimo. Ma i confini nelle cose umane sono sfumati, non esistono nero e bianco, in questo film come nella vita domina il grigio. Avati infatti ci mostra un ambiente religioso strettamente legato alla politica (siamo nel Veneto del 1952, caposaldo della Democrazia Cristiana) e caratterizzato da atteggiamenti oscurantisti di sapore medioevale; è insomma difficile vedervi il Bene assoluto.
La storia, tratta dal romanzo omonimo dello stesso Avati, scaturisce dall’uccisione di un adolescente, Emilio (Lorenzo Salvatori), da parte di un coetaneo, Carlo (Filippo Franchini), convinto che egli fosse il diavolo ed avesse causato la morte dell’amico Paolo (Riccardo Claut), verificatasi per cause oscure dopo che Emilio lo aveva fatto inciampare e di conseguenza calpestare l’ostia consacrata durante la prima Comunione. La vicenda si dipana poi sulle ricerche del funzionario ministeriale Furio Momenté (Gabriel Lo Giudice), inviato da Roma allo scopo di “sopire, troncare [...] troncare, sopire” per dirla con Manzoni, allo scopo di non guastare i rapporti fra governo e Chiesa in periodo pre-elettorale.
Tornando all’area grigia che in questo film soffonde il rapporto fra Male e Bene, va sottolineata l’analogia fattuale fra la Comunione, ovvero l’atto di mangiare il corpo di Cristo, e il divorare altri esseri umani come aveva fatto Emilio con la sorellina adottiva e come fanno del resto anche gli zombie, mentre i vampiri bevono il sangue, proprio come il sacerdote beve il vino, metafora del sangue di Cristo. Insomma, l’umanità è legata fin dalle sue origini all’idea di mangiare e bere il corpo e il sangue altrui, siano queste manifestazioni del Bene o del Male. E ancora, scorre da sempre nel pensiero dell’umanità l’idea dell’accoppiamento fra specie diverse, vuoi fra essere umani e animali, cui si fa frequentemente riferimento nella mitologia e nel corso dei sabba (durante i quali fra l’altro si calpestavano le ostie) vuoi fra esseri umani e mostri come ad esempio in "Rosemary’s Baby" di Roman Polanski (1968) in cui avviene l’accoppiamento donna-diavolo. Ebbene, nel film di Avati sono frequenti i riferimenti alla madre di Emilio che sarebbe stata ingravidata da un maiale, animale che come il caprone spesso impersona Satana, il che ben si accorderebbe con l’aspetto fisico del ragazzo e ne giustificherebbe la personificazione diabolica.
Nel finale del film è la spiegazione dell’inizio, secondo il dogma dell’effetto Kulešov: nel vedere la metamorfosi fisica di Carlo e nell’associarla mentalmente al costume medioevale indossato dal personaggio che si avvicina alla culla per divorarne il contenuto nella scena iniziale capiamo che il Male non potrà mai essere sconfitto, che è sempre stato e sempre sarà con l'umanità. E ancora, sempre nel finale, a suggellare la fine di Furio compare di fianco a Carlo come suo complice Gino il sagrestano. Difficile non chiedersene il perché. Una possibile spiegazione è che Avati con la presenza del sagrestano, personaggio laico vicino alla Chiesa, accanto al nuovo Signor Diavolo abbia inteso confermare che il Male può nascondersi anche dove ci aspetteremmo la presenza del Bene, grazie all’intervento del fattore umano.