giovedì 12 dicembre 2019

“Un giorno di pioggia a New York”, Woody Allen (2019)

Woody Allen torna con questo film a Manhattan, suo vecchio amore, che ci fa ammirare questa volta in una versione patinata, turistica, diversa da quella ben più autentica che ci aveva mostrato giusto quarant’anni fa in “Manhattan”. E proprio come allora, anche qui si dedica allo studio dei rapporti amorosi. Non si tratta però di una "commedia romantica", come è stato definito questo film: in una commedia romantica infatti l’amore dovrebbe trionfare sempre e non sembra proprio che ciò avvenga in questa storia. Prendiamo in esame le coppie che Allen ci presenta: Ashleigh (Elle Fanning) e Gatsby (Timothée Chalamet) si separano per volere di lui alla fine del film, la stessa Ashleigh aveva iniziato con Diego (Francisco Vega), fascinoso attore di film di serie B, una relazione basata su una infatuazione reciproca destinata a disfarsi in un battibaleno, la risata stridula di Lily (Annaleigh Ashford) è sufficiente a far andare in crisi il suo rapporto con Hunter (Will Rogers) ed infine fra Connie (Rebecca Hall) e Ted (Jude Law) l’unica cosa che abbonda sono le corna reciproche. E’ vero, l’ultima coppia che incontriamo in ordine di tempo, quella fra Gatsby e Chan (Serena Gomez), sembra promettere bene: analizziamo quindi come si viene formando. In origine Gatsby era attirato da Ashleigh perché la vedeva lontana dall’ambiente dei VIP di Manhattan di cui fanno parte sia i suoi genitori che quelli di Chan, un ambiente che egli disprezza ritenendolo basato solo su denaro, apparenze, convenzioni. Ma ben presto egli si rende conto di quanto Ashleigh sia in realtà superficiale, costruita ed anche un po’ ignorante, insomma una Barbie in carne ed ossa, adatta tutt’al più a partecipare e vincere il concorso di Miss Simpatia a Tucson, Arizona. Allo stesso tempo egli si rende conto di quanto fresca e spontanea sia Chan, nonostante i suoi genitori abbiano casa agli East Hampton e sulla Quinta Avenue. E a vedere oltre le apparenze Gatsby è aiutato anche dal coming out della madre (Cherry Jones) che coraggiosamente gli rivela di essere stata in gioventù una prostituta. Dal passato della madre egli capisce infatti che tutto ciò che essa faceva per lui e che egli trovava fastidioso, dal cercargli le ragazze “giuste”, a spingerlo a frequentare ambienti colti e socialmente elevati, non era dovuto al culto delle apparenze, ma semplicemente al sacrosanto desiderio di evitare che egli potesse cadere in ambienti analoghi a quello da cui ella proveniva.
Una volta scartato l’amore, quale può essere il vero protagonista di questo film? Il caso sembra essere un ottimo candidato, proprio come nel precedente film di Allen del 2005, “Match point”: tutto ciò che avviene nel corso di queste 36 ore a New York è infatti dominato dal caso. Tutti i piani di Gatsby ed Ashleigh vanno all’aria, tranne il giro in carrozza a Central Park che avrà però come esito inatteso la crisi della coppia. Inoltre Gatsby incontra Chan per caso, mentre andava a salutare un amico e Ashleigh fugge seminuda dalla casa di Diego a causa del ritorno inaspettato di sua moglie, Ted infine scopre che Connie lo tradisce perché la vede per caso entrare in casa dell’amante.  Insomma, Allen sembra volerci dire di non pianificare troppo la vita perché il caso è sempre pronto a metterci lo zampino e a rimescolare le cose a suo piacimento, proprio come si mescolano le carte da poker, giuoco grazie al quale Gatsby guadagna senza alcun merito ingenti somme di denaro.

mercoledì 4 dicembre 2019

"La belle époque”, Nicolas Bedos (2019)

Poter rivivere un periodo della nostra vita che ci ha reso felici, la nostra Belle époque appunto, è cosa che molti hanno probabilmente pensato o desiderato. Non è in effetti un caso se il viaggio nel tempo ha ispirato l’immaginazione di molti scrittori e registi. Ma c’è un modo alternativo, realizzabile e molto originale, di rivivere gli eventi e di questo ci parla Bedos nel suo bel film, basta utilizzare attori e sceneggiatori come su un set cinematografico. E questa è la possibilità che viene offerta al settantenne Victor (Daniel Auteuil) grazie ad Antoine (Guillaume Canet), un amico di suo figlio Maxime (Michaël Cohen), la cui attività consiste appunto nel ricreare con scenografie estremamente dettagliate momenti del passato in cui i suoi clienti possono immergersi. A Victor viene quindi posta la fatidica domanda: che momento del passato vorrebbe rivivere? Ed egli sceglie senza esitazione un periodo ben preciso del 1974, quando incontrò l’amore della sua vita, Marianne (Fanny Ardant) che poi divenne sua moglie e dalla quale attualmente lo divide una crisi apparentemente insuperabile. Marianne è infatti protesa al futuro, cerca affannosamente le novità anche tecnologiche, non accetta il passare del tempo, ha intessuto una relazione con un uomo che non ama, ma più giovane del marito, solo per sentirsi lei stessa più giovane. Victor è invece ripiegato su se stesso, non apprezza la modernità, usa la matita invece del computer (era stato in passato un apprezzato disegnatore), non possiede nemmeno un cellulare.
Questo film tocca tematiche importanti trattandole con ironica leggerezza. L’amore naturalmente prevale. Pensiamo ad esempio all’incontro nel bistrot La belle époque, ricostruito da Antoine sulla base di una serie di schizzi fornitigli da Victor, con Marianne ventenne impersonata da un’attrice, la statuaria Margot (Doria Tillier) che a sua volta intrattiene con Antoine una relazione assai burrascosa. Si intreccia qui un dialogo a tre: Margot parla a Victor nelle vesti di Marianne ma si rivolge in realtà ad Antoine che segue la scena non visto da dietro uno specchio e che a sua volta parla con Margot attraverso un auricolare, mentre Victor è convinto che Margot/Marianne stia parlando con lui. Nonostante questo intreccio le due coppie, Margot e Antoine da una parte, Victor e Margot/Marianne dall’altra, si capiscono perfettamente perché il linguaggio dell’amore è universale.
Un altro tema è il nostro rapporto con il passare del tempo. Marianne e Victor sono in questo agli antipodi, come abbiamo visto, ma nessuno dei due accetta l’idea, che Margot spiega a Victor, che una persona non può rimanere sempre la stessa, che si deve accettare il cambiamento, nostro e degli altri, perché l'identità è inevitabilmente plasmata dalle vicende della vita. Ed in effetti verso la fine della vicenda Victor sembra aver compreso questo aspetto nel momento in cui inizia a lavorare con un gruppo di giovani nell’impresa del figlio con soddisfazione ed entusiasmo reciproci, mentre Marianne rimane ancorata ad uno schema giovanilistico vissuto passivamente.
Un altro aspetto è il modo in cui ognuno vede il mondo o meglio il modo in cui se lo rappresenta, come insegna Arthur Schopenauer, che è diverso da soggetto a soggetto. Nel film il concetto di realtà è in effetti assai sfumato, spesso lo spettatore non capisce se quello che sta vedendo è reale o no, e questo accade anche a causa del modo di vedere il reale che appunto è diverso per ciascuno di noi e dipende in modo importante dai nostri desideri che sono mutevoli. Proprio per questo Victor, quando una sera al bistrot vede arrivare un’altra attrice invece di Margot perde la testa. Allora, chi è che Victor ama: Margot, Marianne oppure Margot nella parte di Marianne?
Credo infine che un messaggio importante che deriva da questo film sia rivolto a persone come me non più giovani. Chi ha una vita alle spalle deve infatti imparare a leggere correttamente il proprio passato, ad accettare il cambiamento negli altri e riconoscerlo ed accettarlo anche in se stessi, a capire il modo di vedere le cose di chi ci sta vicino. Solo in questo modo si può evitare di sprecare l’unica vita che ci è concessa.