venerdì 28 giugno 2019

Venezia dal Lido al tramonto, Nicolò Miana (2019)

Parliamo oggi di questa fotografia, vista su Facebook e che mi ha subito catturato.
Passata la fase emozionale dell’apprezzamento estetico mi sono soffermato a valutarla nei suoi significati e ritengo che vi siano spunti interessanti di cui parlare.
Vi sono innanzitutto due richiami importanti alla pittura: uno risale al 400 ed è il riferimento di Leon Battista Alberti ai contorni dell’immagine che egli reputa formino "una finestra aperta sul mondo  per donde io miri quello che quivi sarà dipinto". E in effetti il contorno fronzuto di questa foto sembra quasi forzare l’occhio a concentrare l’attenzione dell’osservatore sul contenuto dell’immagine stessa.
E in secondo luogo il ponte, che rappresenta un intelligente artificio per separare la metà inferiore, prossima all’osservatore, da quella superiore, da apprezzare in lontananza; ma non solo: trovo molto difficile nel guardarlo non pensare al ponte giapponese del giardino di Giverny, più volte dipinto da Claude Monet (v. sotto), che anche in questo caso divide il quadro nelle due metà superiore ed inferiore facilitandone l’apprezzamento.

Oltre a questi riferimenti stilistici vi sono in questa fotografia significati profondi.
Ad esempio il richiamo alla natura, attraverso la vegetazione rappresentata dai rami degli alberi di colore scuro ed omogeneo cui fanno da contrasto gli oleandri bianchi e rossi sulla sinistra. E attraverso l’acqua, fonte di vita per il mondo vegetale ed animale, che domina la foto occupandone le due metà. Vediamo poi due piccole barche ed una bicicletta appoggiata all’albero che ci insegnano a muoverci nel nostro mondo cercando di ridurre al minimo l’impatto sulla natura, e questo proprio all’indomani dell’episodio della grande nave fuori controllo proprio a Venezia, protagonista di una strage sfiorata, proprio il contrario di come si dovrebbe vivere nel rispetto dell’ambiente. Venezia appunto, che vediamo sullo sfondo a rappresentare la memoria del passato, di un passato fragile che si deve rispettare perché sia sempre fonte di comprensione del presente e di ispirazione per il futuro, come ci ricorda Søren Kierkegaard: "La vita va interpretata guardando all’indietro e vissuta guardando in avanti". Ed ecco anche il presente, rappresentato dalla ragazza ferma in bicicletta che consulta il suo smartphone e che ci riporta ai giorni nostri. Forse, situata in questo contesto, ci vuol dire che sì, può essere possibile far convivere armoniosamente passato e presente e anche Psiche e Techne, per dirla con Umberto Galimberti. Conditio sine qua non è però di non trascurare passato e Psiche abbandonandosi per pigrizia alle comodità ed alle facilità offerte da presente e Techne.

sabato 1 giugno 2019

“Dolor y Gloria”, Pedro Almodóvar (2019)

Il Dolore e la Gloria del protagonista del film, il regista Salvador Mallo (Asier Flores da bambino e Antonio Banderas da adulto), sono racchiusi nella locandina, una sorta di patchwork che raffigura le persone e gli eventi che hanno contribuito a plasmare la sua vita e la sua identità. Ma il problema è che Salvador ricorda sì, ma evita di riallacciare i contatti con il periodo della sua giovinezza e maturità, forse perché ripiegato su se stesso dalla decadenza fisica e psichica che lo attanaglia e gli impedisce di dedicarsi al suo lavoro. Qualcosa scatta però in lui in occasione della proiezione in versione rimasterizzata presso un cineforum del suo primo film “Sabor”, qualcosa che lo spinge ad incontrare il passato, nella persona di Alberto (Asier Exteandia), attore protagonista del film, con cui non parlava dall’uscita dell'opera 32 anni prima, dopo un furioso litigio: Salvador aveva allora ritenuto che Alberto non avesse recitato in modo adeguato al suo ruolo. Sabor cioè gusto, il gusto della vita che permeava la giovinezza di Salvador e che adesso egli ha totalmente perso. E dopo l’incontro con Alberto il passato continua a far breccia nella corazza che Salvador si è costruito; adesso è la volta di Federico (Leonardo Sbaraglia), suo ex-amante, con il quale ritrova il sorriso nel ricordo dei tempi del loro amore e la spiegazione della brusca fine del loro rapporto. Ma il punto di svolta che rappresenta per Salvador la riscoperta della gioia del passato, e quindi anche della gioia del presente, è costituito dal casuale ritrovamento di un acquerello che lo ritrae bambino mentre legge un libro, un acquerello dipinto dal giovane imbianchino Eduardo (César Vicente). Il giorno in cui l’acquerello fu dipinto rappresentò per Salvador ragazzino la scoperta dell'orientamento sessuale, proprio alla vista di Eduardo che si lavava.  E’un momento importante, metaforizzato dall’immagine della luce e del calore che irrompono nella buia casa semi-sotterranea dove viveva Salvador con la madre Jacinta (Penélope Cruz da giovane e Julieta Serrano da anziana). La madre appunto, con la quale Salvador intrattiene un rapporto tenero ed intimo fino alla morte di lei, sempre mantenendo i toni del dialogo fra mamma e bambino, tanto che il non essere riuscito ad esaudirne l’ultimo desiderio, e cioè morire nel suo paese, è vissuto da Salvador più che con angoscia con un sorriso, come se si fosse trattato della marachella di un bambino.
Alla fine della vicenda Salvador è riuscito a chiudere i conti con il passato ritrovando la serenità e con essa la voglia di lavorare; mette quindi mano a un nuovo film, “El Primer Deseo”, nel ricordo forse del primo desiderio da lui provato per Eduardo. La prima scena di questo film, in cui vediamo Salvador bambino con la giovane Jacinta, è spiazzante, tanto da far quasi pensare che tutti i flashback dell’infanzia che Almodóvar ci ha mostrato fossero in realtà spezzoni di questo nuovo film (Jacinta in effetti da giovane ha gli occhi scuri di Penélope Cruz e da anziana quelli grigio-chiaro di Julieta Serrano) in una commistione di vita ed arte che ricorda l’aforisma di Friedrich Hölderlin: ”Impara l’arte dalla vita e la vita dalle opere d’arte".