venerdì 8 febbraio 2019

“Green Book”, Peter Farrelly (2018)

Il conflitto razziale fra bianchi e neri è affrontato nel cinema statunitense a partire da diverse angolature: le difficoltà della convivenza come in “Indovina chi viene a cena” (Stanley Kramer, 1967), la rivendicazione dei diritti civili negati ai neri come in “Selma” (Ava DuVerney, 2014), o ancora il filone della Blaxpoitation, dal più noto “Shaft” (Gordon Parks, 1971) al più recente “Black Panther” (Ryan Coogler, 2018)
"Green Book” non si colloca in nessuna di queste categorie. Per capire come inquadrare questa pellicola è utile ricorrere ad un'analisi strutturalista, sulla scia di quanto fatto da Claude Lévi-Strauss nell’interpretazione di miti e leggende. Bisogna dunque enucleare i singoli elementi che messi insieme creano la struttura del film, organizzando in antitesi le caratteristiche dei due protagonisti:

  • Nero/Bianco
  • Ricco/Povero
  • Colto/Ignorante
  • Senza legami sociali/Con legami sociali
  • Omosessuale/Eterosessuale

tenendo presente che queste antitesi, ed in particolare quelle riguardanti il colore della pelle e l’orientamento sessuale, devono essere lette nell’ottica vigente nel 1962. Da queste contrapposizioni possiamo capire che nella vicenda del pianista nero Don Shirley (Mahershala Ali) e dell’autista bianco Tony Vallelonga (Viggo Mortensen) il tema non è solo la differenza di colore della pelle, ma comprende le altre variabili contrapposte che condizionano i rapporti interpersonali in ogni tipo di società. Che il colore della pelle abbia una importanza relativa lo possiamo anche verificare dal fatto che Don non suscita simpatie fra gli afro-americani, basti pensare allo sdegno con cui i braccianti neri al lavoro nei campi lo squadrano perché così diverso da loro, simile ad un bianco, e al disprezzo nei suoi confronti espresso dal gruppo di neri al motel quando egli rifiuta l’invito a giocare a bocce con loro. L’interesse di Farrelly è quindi focalizzato su una valutazione sociologica della convivenza basata sull’insieme delle variabili riportate in precedenza. Va detto però che anche l’aspetto dei diritti civili dei neri e della loro convivenza con i bianchi ha un suo rilievo nella storia: apprendiamo infatti dal violoncellista Oleg (Dimiter D. Marinov) che Don ha rinunciato a concerti comodi e ben retribuiti a New York per intraprendere questa scomoda e difficile tournée negli stati del sud proprio allo scopo di rivendicare il ruolo della popolazione afro-americana in un ambito d’élite quale la musica classica. Se questo è il quadro sociologico che il film esprime quale è il rimedio proposto? Lo capiamo seguendo l’evoluzione del rapporto fra Don e Tony, dal fatto che ognuno dei due impara qualcosa dall’altro, vuoi che si tratti di scrivere lettere d’amore o di apprezzare il pollo fritto. La soluzione è quindi l’apertura empatica al prossimo, la disponibilità ad apprendere da lui e ad insegnargli. Non a caso il “Green Book” del titolo, oltre ad indicare letteralmente la guida cartacea che Tony utilizza per evitare situazioni incresciose per il suo cliente nero, è una metafora per una vera e propria guida ideale alla costruzione ed al rafforzamento dei legami sociali anche in condizioni molto difficili come quelle narrate nel film. Infatti Tony ricorda a Don di non aver paura di fare il primo passo verso il prossimo, lo incita ad avere il coraggio di prendere l’iniziativa nei rapporti con gli altri, pena il restare in una condizione di solitudine quale quella in cui egli si trova. E quest'ultimo concetto ci introduce al finale del film, che critici severi probabilmente troveranno troppo sdolcinato. Può darsi che i critici abbiano ragione nella loro razionalità, ma non dimentichiamo che finali analoghi si trovano in capolavori del cinema e della letteratura come “La vita è meravigliosa” (Billy Wilder, 1946) e “Canto di Natale” (Charles Dickens, 1843) che hanno commosso e tuttora commuovono generazioni intere.