Definito da più parti un film noioso, “L’Inganno” è girato secondo la teoria dell’Immagine-Tempo di Gilles Deleuze, quindi
camera fissa, occasionalmente posizionata in basso rispetto ai personaggi sulla
scia di Yasujiro Ozu, tempi lunghi, inquadrature prolungate sui dettagli.
Evidentemente a un pubblico drogato dal dinamismo ipercinetico delle regie
attuali, e quindi incapace di lasciarsi andare al flusso del tempo cogliendo i
dettagli che danno significato a un film, quest’opera non può non risultare
“noiosa”.
Fatta questa doverosa premessa, chiediamoci cosa ci vuol
dire e come ce lo dice Sofia Coppola con questo suo film, tratto da un romanzo
di Thomas Cullinan già portato sullo schermo da Don Siegel nel 1971 con lo
stesso titolo originale, “The Beguiled”.
L’incipit, un lungo piano sequenza lungo un viale
ombreggiato da alberi enormi in cui una delle allieve, la piccola Amy (Oona Laurence), si aggira
canticchiando e raccogliendo funghi, ci introduce alla maestosità della natura,
spettatrice indifferente della guerra e degli affanni umani e procacciatrice di
vita, intesa come nutrimento, ma anche di morte e sottolinea l’innocenza di Amy,
banalmente ma efficacemente paragonabile a Cappuccetto Rosso che invece del
lupo troverà nel bosco un soldato nordista ferito, John McBurney (Colin
Farrell). Trasportato all’interno del collegio, John viene curato e accudito dalla
direttrice Miss Martha, una statuaria Nicole Kidman, dall’insegnante Edwina
(Kirsten Dunst), un vulcano di emotività appena intuibile sotto una gelida ed amara
corazza, e dalle allieve. Tutte queste donne gradualmente manifestano uno
spiccato interesse per questo soldato, sotto forma di ingenua curiosità nel
caso delle più giovani e di attrazione sessuale più o meno manifesta nel caso
delle meno giovani. In questo clima di disordine emozionale, che contrasta con
l’ordine precedente, inizia l’inganno che dà il titolo al film. A questo
proposito è interessante notare che il titolo originale ha un respiro più ampio
di quello italiano:”The Beguiled” significa infatti sia l’ingannato che l’ingannata
e sia al singolare che al plurale, come a sottolineare la molteplicità e la diffusione
dell’inganno nei rapporti umani. Martha inganna infatti gli ufficiali sudisti non
menzionando la presenza di un nordista in casa, John inganna Edwina dicendosi perdutamente
innamorato di lei, ma comportandosi in realtà diversamente, Alicia (Elle Fanning)
inganna le altre accusando falsamente John di violenza e così via in una
spirale diabolica che porta all’esito drammatico, dopo il quale assistiamo ad
una ripresa dello status quo ante, efficacemente espressa dallo statuario piano-sequenza
finale.
Sofia Coppola ci dice quindi che la guerra è solo l’espressione più eclatante degli aspetti più neri dell’animo umano, l’orrore alberga infatti
ovunque e può esplodere in qualsiasi momento in modo del tutto inatteso. A
sottolineare questo aspetto basterebbe il fatto che sia proprio la giovane,
angelica ed innocente (almeno all’inizio del film) Amy che saprà suggerire il
modo più diabolico ed efficace per concludere il dramma.