mercoledì 29 marzo 2017

"Elle", Paul Verhoeven (2016): crudeltà e desiderio al femminile

Due sono le tematiche che Paul Verhoeven affronta in questo film: crudeltà e desiderio da una parte e supremazia del sesso femminile dall'altra, esercitata quest'ultima spesso e volentieri attraverso l'arma della seduzione (tema caro al regista fin dai tempi di "Basic Instinct").
All'inizio del film Michèle Leblanc (Isabelle Huppert al meglio delle sue capacità) viene violentata in casa da uno sconosciuto mascherato; prima di vedere le immagini (attraverso lo sguardo perplesso del gatto di casa) sentiamo la voce di Michèle che ci può instillare il dubbio di una possibile sua partecipazione masochistica all'atto sessuale. Questo dubbio si rafforza quando vediamo le sue azioni dopo la violenza: spazza per terra, fa il bagno, non pensa nemmeno a chiamare la polizia. Con il dipanarsi della trama impariamo a conoscerla, Michèle, il suo desiderio insaziabile di sesso (decisamente appropriata a questo proposito la scelta di "Lust for Life" nella colonna sonora), la sua noncuranza per i sentimenti altrui che spesso sfiora la crudeltà (mentre invece è così preoccupata di salvare un uccellino dalle grinfie del gatto). E finalmente il demone che la ha resa quello che è oggi, si appalesa nella figura paterna, da lei apertamente rifiutata, che all'età di 10 anni la costrinse a prender parte ad un atto di follia pluriomicida che gli costò l'ergastolo. Terribile a questo proposito la fotografia di Michèle bambina, magra e seminuda davanti ad un falò che il padre l'aveva costretta a preparare, che sembra uscita dall'archivio fotografico di un lager nazista non fosse per lo sguardo duro, tutt'altro che sofferente o spaventato. Possiamo quindi pensare che il desiderio di sesso possa rappresentare un compenso dell'infanzia non goduta e che la noncuranza per la sofferenza altrui  sia anch'essa un compenso ma per le sofferenze che Michèle ha dovuto subire (e che tuttora subisce, vedi ad esempio la quasi aggressione da parte di una cliente nel ristorante) a causa del padre.
E poi le donne secondo Paul Verhoeven, sempre in controllo di tutto: Michèle fa il bello e il cattivo tempo nella sua ditta con autorità, come pure nel rapporto con l'amante (formidabile la sua espressione larvatamente canzonatoria quando lui, marito della sua migliore amica, le chiede prestazioni sessuali in  ufficio: "povero fesso, tanto ti liquido quando voglio" sembra pensare, come poi in effetti accade), la madre di Michèle, piuttosto anziana, si concede senza remore il piacere della compagnia di un giovane gigolò che a un certo punto dichiara perfino di voler sposare, la vicina di casa, angelica e religiosissima, ringrazia Michèle per aver assecondato il marito nelle sue stravaganze erotiche di cui era evidentemente a conoscenza senza che la cosa la turbasse più di tanto ("è un buon uomo" dice, come se il resto non contasse nulla), la compagna del figlio di Michèle, personaggio di un dispotismo assoluto, comanda a bacchetta il compagno che le obbedisce ciecamente.
E che dire degli uomini? Che  fanno da contrappunto alle donne, non se ne salva uno: il violentatore, che avrà alla fine la peggio, l'ex marito di Michèle, una nullità assoluta cui la giovane amante fa addirittura i complimenti per un libro scritto da un suo semi-omonimo,  il figlio di Michèle, di cui abbiamo già detto e la cui ottusità giunge a fargli sostenere a spada tratta di essere il padre del bambino partorito dalla compagna, peccato che il bimbo sia di carnagione un pò troppo scura, del tutto analoga a quella del collega di lavoro. E che il mondo sia delle donne Verhoeven ce lo conferma con la scena finale, dove Michèle e la sua migliore amica, già protagoniste di una scena saffica, si allontanano allegre a braccetto, dopo che gli uomini del film sono stati sistemati a dovere, come a voler preludere a un mondo ideale popolato solo da api operaie e regine in cui gli uomini sono solo dei fuchi da eliminare dopo aver espletato le funzioni riproduttive.